Che utilità ha cambiare il nome al Moscow Mule? Serve davvero boicottare la vodka russa, che magari neanche russa è, ma per sembrare meno russa e non essere boicottata deve cambiare nome? Siamo sicuri di stare facendo bene ad alimentare l’odio verso la popolazione sovietica, non mettendo più piede nei ristoranti russi o rinunciando alle tartine col caviale? Oppure, come fa Jay Rainer in Inghilterra, costringendo i ristoratori a dichiarare la loro estraneità al malvagio regime di Putin?
No, perché qui la situazione pare sia sfuggita di mano, e ci sono conseguenze che forse non sono ben chiare a tutti.
In tutta Europa si moltiplicano le segnalazioni di ristoranti e locali russi o russofoni (davvero sapreste dire se in cucina c’è un russo o un moldavo?) che vengono boicottati, insultati, ricoperti di recensioni negative ingiustificate. Non vi ricorda forse quando, nei primi mesi del 2020, andare in un ristorante cinese era un po’ come solidarizzare col nemico e andarsi a cercare il Coronavirus, tanto che alcuni esponenti politici si sentirono in dovere di dichiarare quanto volentieri andassero a mangiare involtini primavera e riso cantonese?
Oggi, dimostrando che davvero non riusciamo a imparare niente dalla storia, neanche da quella recentissima, si sta ripetendo tutto da capo con i ristoranti russi, tutto in nome della solidarietà all’Ucraina e dell’odio verso Putin. Ma loro non sono Putin, e magari non lo sono mai stati, tanto più che dalla Russia se ne sono andati per aprire il loro ristorantino a Londra, New York, Roma o Canicattì. E invece ora, improvvisamente, si trovano messi alle strette e costretti a dichiarare che loro Putin non l’avrebbero votato manco in liberissime elezioni, figurarsi un po’ se non stanno con l’Ucraina.
Praticamente: colpevoli fino a prova contraria, solo perché russi.
Jay Rainer
A dimostrazione di questo arriva dall’Inghilterra una vicenda dai risvolti preoccupanti, perché crea un precedente su una piccola tendenza al delirio di onnipotenza di una certa critica gastronomica, convinta di poter decretare il successo o il fallimento di un ristorante, e di poterlo fare in base a simpatie e antipatie.
Protagonista è Jay Rayner, uno dei critici gastronomici più noti e stimati del Regno Unito, che ha deciso di ergersi a capitano di una caccia all’untore, dove gli untori sono i ristoratori pro-Putin, che ora tremano in un angolino aspettando che Rayner decida di distruggerli, e non per la qualità della loro cucina.
“È probabile che non vogliate più supportare le imprese londinesi che hanno dei collegamenti con Putin”, ha scritto Rayner sul suo – seguitissimo – canale Twitter, prima di fare il nome di una di loro. “Eccone una: @NovikovLondra di proprietà di Arkady Novikov, che si vantava con me dei suoi legami con il Cremlino”. Rayner non si chiede neanche se quel “vantarsi dei legami con il Cremlino” in tempo di pace non fosse semplicemente voglia di pavoneggiarsi, o chissà cos’altro. No. Il ristorante, indipendentemente dalla recensione – negativa – fatta da Rayner dieci anni fa (dieci!) va boicottato, in quanto amico di Putin.
Così, il ristorante si è sentito in dovere di dire che, legami con il Cremlino o no, non era mica vero che erano a favore della guerra: sul sito web del locale è infatti comparsa una bandiera ucraina con la scritta “Peace for Ukraine”, e altri ristoranti russi sono corsi ai ripari. Come riporta l’Evening Standard, Mari Vanna, un ristorante russo di lusso a Knightsbridge, ha annunciato che il 50% degli incassi di questi giorni sarà devoluto al Disasters Emergency Committee, che ha aperto un fondo speciale per aiutare il popolo ucraino. Sia mai che prosegua la caccia alle streghe di Rainer.