“Ragazzi, Io Apro e tutti hanno invaso la CGIL”: a parlare è Biagio Passaro, leader del gruppo di ristoratori che fin dall’inizio delle direttive per contenere la pandemia si è posto come disobbediente. Loro – i ristoratori di Io Apro – hanno aperto, nonostante le zone rosse, hanno invitato più o meno apertamente al boicottaggio del Green Pass nei ristoranti e, alla fine, per la seconda volta, hanno guidato – parole loro – “l’invasione di Roma”.
Inutile girarci intorno: se nella Capitale, durante le proteste contro il vaccino, le mascherine, i Green Pass e la presunta “dittatura sanitaria”, si sono viste scene di cui l’Italia intera dovrebbe vergognarsi, parte della responsabilità è anche di questi ristoratori dissidenti. Non è un’ipotesi ma una constatazione, resa evidente proprio dai filmati che lo stesso Biagio Passaro pubblica sulle sue pagine social, partecipando all’ignominiosa irruzione alla sede romana della Cgil, e anche rivendicandola come una vittoria di Io Apro.
D’altronde, già da giorni i toni di Io Apro non facevano intendere nulla di buono. Di “invasione di Roma” parlavano, e anche della “settimana più calda del secondo dopoguerra”, che avrebbe atteso il Governo e che evidentemente non è ancora finita. “Se c’è da morire, da sacrificarsi per il popolo, moriremo”, dicevano, come se fossero stati chiamati al fronte da chissà chi. Vale infatti la pena di ricordare ancora una volta che, a fronte di poco più di 8 milioni di Italiani vaccinabili che hanno rifiutato – per un motivo o per l’altro – di immunizzarsi contro il Coronavirus, ce ne sono oltre 45 milioni e mezzo che hanno ritenuto fosse la cosa giusta da fare. Pure a voler pensare che siano tutti pecoroni, forse è quantomeno eccessivo parlare di “dittatura sanitaria”. La stessa cosa, è evidente, vale anche per il Green Pass: la maggior parte degli Italiani ha accettato più o meno di buon grado l’idea che questo fosse uno strumento utile per tenere la situazione sanitaria il più possibile sotto controllo. E stop.
Così non è, pare chiaro, per i ristoratori di Io Apro, che continuano a farsi paladini di una giustizia richiesta da qualcuno, e lo fanno nel peggiore dei modi, rendendosi responsabili e corresponsabili di azioni che oggi chiunque, da qualsiasi parte politica, non può che condannare e osservare con preoccupazione.
Ed è già da tempo che queste persone danno dimostrazione di non essere la bandiera migliore sotto la quale portare avanti la – seppur giusta, in certa misura – causa della ristorazione, che arriva da mesi difficili come non mai e che spesso non è stata agevolata nella sua ripresa. Quantomeno, almeno talvolta, la sensazione è che la ristorazione sia stata trattata da figliastra, al confronto di altri settori (vedi alla voce “colazioni negli hotel”). Un po’ come accade agli spettacoli dal vivo se paragonati agli stadi o – ancor più odioso – ai comizi elettorali a cui di recente abbiamo assistito. Eppure, i lavoratori dello spettacolo non hanno scelto di far portare avanti le loro battaglie da uno sciamano che ripercorra le gesta di Jake Angeli né di imitare il suo assalto a Capitol Hill, tra le pagine più imbarazzanti e preoccupanti della democrazia americana negli ultimi anni.
E, vogliamo ribadirlo ancora una volta, siamo sicuri che neanche la maggior parte dei ristoratori italiani, lavoratori a testa bassa e imprenditori che contribuiscono notevolmente al benessere economico e turistico del Paese, voglia essere associato a questa gente che entra con un telefonino in mano negli uffici di un sindacato convinta di stare facendo la rivoluzione nel nome della libertà di aprire il proprio ristorante a qualsiasi costo e senza la scocciatura di scansionare un QR Code.
Ecco, ne siamo sicuri. Ci piacerebbe solo sentirlo urlare a gran voce.