L’immagine dello scontrino non fiscale che elude il registratore di cassa è davvero desueta per la “‘ndrangheta 2.0”, l’odierna mafia-società d’affari, come la definisce Alessandra Dolci, coordinatrice della direzione distrettuale antimafia di Milano in riferimento a una criminalità organizzata che oggi come non mai si fa imprenditrice, anche e spesso attraverso la ristorazione. Così il riciclaggio di denaro, conditio sine qua della disponibilità di liquidi per i soggetti mafiosi, attraversa pos e pagamenti elettronici in genere, come ci spiega il giornalista del Corriere della Sera Cesare Giuzzi in questo video (episodio quinto della nostra serie dedicata alla mafia nella ristorazione): “Il tracciamento dei pagamenti può addirittura diventare un vantaggio. Si dimostra così che la ricchezza deriva dal lavoro”.
“Siccome la legge sulla confisca dei beni prevede che si debba dimostrare una sproporzione tra i redditi dichiarati e l’effettivo tenore di vita della persona: in questo caso si riesce a superare questo meccanismo”, continua Giuzzi, evidenziando il paradosso per cui la regolarità di assunzioni e conti all’interno di un ristorante effettivamente gestito dalla criminalità organizzata faccia da scudo, impedendone il sequestro preventivo. Ma lo scontrino “pulito” è l’ultimo anello della catena nel sistema del riciclaggio, i cui costi enormi presuppongono, come spiega bene Alessandra Dolci, intermediari e laute percentuali.