Quella che vedete è la prima foto del nuovo D’O, sulla piazza centrale di San Pietro all’Olmo, a pochi metri dal primo D’O, il locale vicino Milano dove lo chef Davide Oldani, in tredici anni, ha scritto un capitolo importante della cucina italiana.
Anzi, tecnicamente è un rendering (i lavori, benché vicini alla conclusione, non sono ancora a questo punto).
Illustra un servizio di Maurizio Bertera su Stile, inserto del Giornale che trovate oggi in edicola, su questo secondo D’O che lo chef pop aprirà tra qualche settimana: su due piani, molto più grande e articolato del primo, che ha recuperato il concetto di tinello.
“Uno spazio ‘casalingo’ dove chi si siede su prenotazione, accetta ogni mia scelta a differenza degli altri cinquanta ospiti che decidono in base alla carta“, precisa Oldani.
Ma cosa s’impara leggendo Stile sulla nuova e mirabolante avventura dello chef star, uno dei più attivi e prezzemolini d’Italia? (Accendi la tv e spunta fuori con le meraviglie del Cloud, esci a guardare le vetrine e lui ammicca dalla copertina di Pop Food, parti per un week end e ne ritrovi il logo a Malpensa, per fortuna che Expo è finito, il chioschetto di Oldani, che ve lo dico a fare, era in pole position all’ingresso).
Che il partner in crime del nuovo ristorante è Piero Lissoni, archistar e maestro italiano di architettura e design, folgorato sulla via della cipolla caramellata, che resta il piatto più famoso dello chef, e suo amico di vecchia data.
Che Oldani stavolta ha studiato il lay-out del locale, disegnato la cucina, ragionato sull’illuminazione, disegnato anche tavoli e sedie, in modo che la gente stesse comoda e potesse iniziare la digestione prima del caffè. E trovando lo spazio nelle sedute perché cellulare e occhiali non restino sul piano ma comunque a portata di mano.
Lissoni, che sui locali dove si mangia dà un giudizio generale molto negativo, non solo in Italia, a partire dalla scarsissima attenzione all’acustica (“in molte sale, non riesci a parlare normalmente“), parla del secondo D’O come di un ristorante & bottega o ancora meglio fabbrica, nel senso di luogo del fare.
Non si nasconde che la differenza con la celebrata e iper prenotata trattoria (il D’O che abbiamo conosciuto finora) sconcerterà non poco.
“Sono convinto che il pubblico si dividerà in due categorie: quelli che diranno ‘ma cos’è?’ e quelli che rimpiangeranno il vecchio“, chiosa Oldani, consapevole.
Lissoni aggiunge una terza categoria: “quelli che resteranno a bocca aperta“.
Voi, guardando quel primo rendering, da che parte state?
[Crediti | Stile /Il Giornale]