Il gender gap, su queste pagine, lo abbiamo affrontato attraverso gli chef arrivati irrimediabilmente uomini, i mestieri che la storia del cibo vuole prettamente maschili e le pentole “troppo pesanti”. C’è però un gender gap di cui parlare, un altro, che attraversa trasversalmente tutti gli ambiti lavorativi: quello tecnologico. Per capire meglio di cosa si tratti abbiamo parlato con Sandra Mori, ex DPO (responsabile della protezione dei dati) europea di Coca-Cola nonché consigliera di amministrazione del Politecnico di Milano e Fondazione Milano, che domani, 18 maggio, sarà tra le relatrici di hackher.it, la più grande manifestazione italiana sul gender gap tecnologico, la disuguaglianza sociale e culturale che colpisce le professioniste del mondo femminile e le allontana dall’ambito tecnologico.
Il presupposto dell’iniziativa è intuibile e lapalissiano quanto i dati del Global Gender Gap Report, che vede l’Italia al 63 esimo posto, dietro Perù e Bolivia; nel nostro Paese solo il solo il 15,72% % delle ragazze sceglie di dedicarsi a un percorso di studi in ambito ICT (Information Communication Technology), contro il 33,93 % dei ragazzi.
“In generale, in tutti i Paesi del bacino del Mediterrano ci troviamo con un 10% di iscritte nelle facoltà di ingegneria elettronica anziché di matematica”, spiega la Mori, “tutta l’impostazione dell’educazione è basata sul dirottare le ragazze altrove, fin dalle elementari, tra preconcetti imposti ed esclusioni dalle attività più tecnologiche più o meno palesi. Si pensi alla classica immagine, tuttora persistente, del genitore maschio che compie attività “prettamente maschili” con il figlio, e viceversa. E poi si prosegue con le scuole medie e l’indicazione di indirizzo, che spesso invita a proseguire il proprio percorso con gli studi umanistici, magari a prescindere dalla loro propensione… Successe a mia figlia, due anni fa: le furono consigliati il liceo classico e il letterario-sociologico, ma lei voleva fare l’istituto tecnico agrario. Così ha pensato di non poterci riuscire. Vede, io sono una madre dotata di argomentazioni sufficienti, ma non in tutte le famiglie è così e il risultato è inevitabile: molte donne vengono irrimediabilmente avviate, fin da giovanissime, verso carriere meno remunerative”.
Modelli di riferimento che non prescindono dal genere, insomma, ed inesorabilmente si ripercuotono sul gap salariale, dacché è ovvio che il mondo STEM (Science, technology, engineering, and mathematics) offra prospettive economicamente più soddisfacenti. Un vantaggio maschile che, fattore ancor più svilente, permane anche quando le donne in ambito scientifico-tecnologico ci lavorano, come dimostrano i più recenti dati di AlmaLaurea:
“Ma anche quando non si lavora in ambito prettamente tecnologico non si può prescindere dalle competenze tecniche, che spesso fanno la differenza in un’azienda tra chi fa carriera e chi rimane indietro”, puntualizza la Mori: “bisogna conoscere i sistemi informativi, ma soprattutto non rimanere indietro e non permettere agli uomini di fare ciò che si può fare da sole”. Poi esemplifica: “Non è raro che i colleghi, seppur in buona fede, si prestino a utilizzare sistemi informatici più complicati del solito al posto delle colleghe. Tutte competenze che così facendo le donne non acquisiranno mai, auto-escludendosi, rendendosi meno spendibili sul mercato del lavoro”
Un altro esempio? “Quello di Ferrovie dello Stato e delle carriere di linea. L’azienda si rese conto che in buona sostanza le donne non facevano carriera e, indagandone i motivi, scoprì che spesso gli uomini le mettevano da parte nella manutenzione e nelle attività notturne. Anche in questo caso si trattava di un gesto fatto in buona fede, per lasciare alle donne i lavori meno faticosi.”
Da contraltare, il preconcetto che vuole le donne imbranate con la tecnologia si manifesta anche in corsi realizzati ad hoc per loro. “Inizi un nuovo lavoro e ti danno un cellulare, o un pc nuovo, e ti fanno fare due ore di corso, a prescindere dalle tue competenze. Poi scopri che lo stanno facendo fare solo a te, che al collega uomo non serve”.
Sandra Mori, per tre anni presidente di Valore D (associazione di imprese che si occupa della carriera delle donne), nasce professionalmente come avvocato specializzato in proprietà intellettuale, che ben poco a che vedere con l’ambito STEM, per poi diventare data protection officer, facendo carriera in una professione che ha tante connotazioni legali quante tecnologiche. E a modo suo, in maniera fin provocatoria, ci parla di come è diventata una leader diversa dalle tante donne che crescono sul lavoro scimiottando gli uomini (tagliando fuori le donne, in sostanza, in ambienti dove le donne sono già poche): “Quando sono diventata responsabile legale europeo di Coca Cola nel mio team c’era il 70% di maschi e il 30% di donne. Ho invertito quelle cifre”. Come ha fatto? “Bisogna mandare avanti le donne, anche quando sono leggermente meno brave”.
A forza di dire che una donna deve essere brava il doppio di un uomo per fare la stessa carriera ci stiamo comportando di conseguenza? Probabilmente sì. E probabilmente anche essere mediocri quando un uomo e fare la sua stessa carriera significa parità.