Corna sulla testa, faccia dipinta con il tricolore, lo “sciamano italico” Hermes Ferrari è un po’ il simbolo delle proteste di ambulanti e ristoratori finite in scontro ieri davanti a Montecitorio. Suo malgrado, sembrerebbe quasi. “Purtroppo ho dovuto camuffarmi perché così la stampa mi ascolta, se venivo non camuffato nessuno mi ascoltava”, ha detto Hermes Ferrari ai microfoni di chi lo ha intervistato. E c’è poco da dire, signori miei, il ristoratore cinquantunenne titolare del ristorante Regina Margherita di Modena ha ragione.
La colpa è anche nostra, almeno in parte, se ci si concentra più su un manifestante vestito come lo sciamano Jake Angeli di Capitol Hill che sulle motivazioni che hanno portato i commercianti in piazza. I meccanismi della comunicazione, da sempre, sono questi: fa più rumore un uomo che morde un cane, viceversa la questione non è una notizia.
Stacce, direbbero a Roma.
Perché il giornalismo italiano di certo non è perfetto, ma queste dinamiche sono talmente note che le conosce perfino uno che nella vita fa tutt’altro, per esempio il ristoratore. E dunque, se Hermes Ferrari sapeva che avrebbe attirato l’attenzione su di sé vestendosi “da pagliaccio”, sapeva anche che quella pagliacciata avrebbe oscurato almeno in parte le motivazioni della protesta e le rivendicazioni della categoria di cui fa parte. Così come lo sapevano quelli di “IoApro”, che la protesta l’hanno organizzata. E così come lo sanno i facinorosi, che sono sempre e soltanto una piccola percentuale ma che altro non fanno che oscurare chi ha delle cose serie da dire e da chiedere alle istituzioni.
Quindi sì, noi possiamo anche parlare un po’ meno dello sciamano de noantri, ma magari la piazza la prossima volta si scelga portavoce diversi, che non prendono ad esempio l’abito di uno degli episodi più bui recentemente accaduti negli Stati Uniti, o per esempio prenda le distanze da chi dice che non è vero che c’è un’emergenza sanitaria in Italia, che è tutta una montatura politica a cui i media abboccano.
Perché questo non aiuta la (sacrosanta) causa dei ristoratori. E non a caso sono in molti quelli che – seppur ugualmente esasperati dalle chiusure prolungate e dalla mancanza di soluzioni – non ci stanno ad essere rappresentati dai simboli della manifestazione di ieri.
E a proposito di rappresentanti che possano portare avanti la giusta causa dei ristoratori nel modo migliore, forse la figura di uno come Hermes Ferrari andrebbe un attimo messa in discussione, travestimento a parte.
Uno che, raccontano le cronache di provincia, nel 2012 venne denunciato per aggressione dal console emerito della Repubblica d’Albania Angelo Santoro, reo, a quanto pare, di attraversare troppo lentamente le strisce pedonali impedendo il passaggio alla Mercedes nera di Ferrari. E non era manco la prima volta, visto che, come riportava allora la Gazzetta di Reggio, Ferrari era “già noto alle forze dell’ordine per episodi analoghi”.
Più di recente poi, nel suo curriculum di attivista delle proteste pro-ristoratori, Ferrari annovera una bella cena in violazione delle regole anti-Covid organizzata nel suo ristorante un paio di mesi fa, con tavolate di gente (per lo più senza mascherina) che intonava cori da stadio e insultava lo Stato. Il genere di proteste che allontanano l’opinione pubblica dalla causa dei ristoratori, piuttosto che il contrario.
D’altronde, il ristorante di Hermes Ferrari è aperto dal 15 gennaio, e lui afferma che le multe non le pagherà, alla faccia di tutti i suoi colleghi che seguono le regole, pur rimanendo incazzati come le bisce e protestando nei limiti di ciò che la legalità consente. Perché non è mica la libertà di protestare che ci manca in Italia, semmai la dignità della protesta.