Il greenwashing, un’esposizione universale dedicata al cibo, la demonizzazione dell’olio di palma e della plastica, ma questo decennio ci lascerà anche buoni ricordi: abbiamo cercato di riassumere del periodo 2010-2019 in 10 piatti italiani, i migliori, secondo noi, dell’ultimo decennio.
Chef celebri e non abbastanza famosi, veri vip e pizzaioli: per questa lista ci siamo presi la libertà di spaziare, alla faccia della notorietà ottenuta dai cuochi dal 2010 in poi, per l’appunto (spoiler: non c’è nemmeno un giudice di Masterchef tra i nostri piatti indimenticabili).
Ossobuco alla marinara, Mauro Uliassi
Mare, terra, texture hardcore, frattaglie, storia, viaggio, ritorno a casa: l’ossobuco alla marinara del ristorante Uliassi, tre stelle Michelin da due anni, è la sintesi perfetta del suo chef, piatto totalizzante del Lab 2019, che proprio la scorsa estate vi abbiamo descritto come il suo menu degustazione più importante di sempre, almeno in quel di Senigallia. Una contaminazione mare e terra, da sempre parte della cifra stilistica “uliassiana”, che con questo piatto raggiunge l’apice dell’espressività.
Assoluto di Cipolle, Niko Romito
Un piatto si fa icona quando dà vita a un movimento: se oggi gli “assoluti di”, nel fine dining, sono una convenzione, è anche perché Niko Romito (Ristorante Reale***, Castel di Sangro), con la sua inimitabile capacità di trasformare un ingrediente in un piatto estremamente articolato, declinandolo in tutte le sue sfaccettature, ci pensò per primo. L'”Assoluto di cipolle” è tutto Romito in un piatto, nonché sintesi delle sue 10 lezioni di cucina (Giunti Editore): semplicità, stratificazione, evoluzione, equilibrio, archetipo, salute, vegetale, dolce, pane, degustazione.
Cacio e pepe in vescica di maiale, Riccardo Camanini
La cacio e pepe di Riccardo Camanini, apoteosi del piatto ritualizzato, ha fatto di Lido 84 a Gardone Riviera un luogo di pellegrinaggio, al netto di una cucina versatile, virtuosistica e quantomai promettente. L’incisione alla vescica del maiale, gonfia di vapori di pecorino, è una cloche che si solleva.
Insalata 21 31 41, Enrico Crippa
Di tutti i piatti di Enrico Crippa “L’insalata” è quella che esprime al meglio la forza del progetto orto. Un piatto coraggioso che solo e soltanto lì, al ristorante Piazza Duomo di Alba, può essere realizzato e fruito, la cui tecnica si riduce alla stratificazione, estremamente intelligente. Buono e non replicabile, come l’arte.
Rognoni di coniglio, semi di basilico, sambuco e capra, Alessandra Del Favero e Oliver Piras
I fortunati che sono passati da Aga (San Vito di Cadore, BL), la stella Michelin che ci ha abbandonati qualche mese fa, i suoi due chef pronti a salpare per gli Stati Uniti d’America, avranno trovato tra le Dolomiti un piccolo “Noma”, le fermentazioni, l’acido e il grasso protagonisti della cucina.
Ebbene, con le valige pronte Alessandra e Oliver, nel loro ultimo menu degustazione italiano, hanno preparato un piatto “classico”, che lavora sull’umami della rosolatura e sulla salsa, rivisitata con i semi del basilico thailandese usati come legante per il fondo del rognone, il sambuco e l’acidità del burro di capra. Nel 2019 abbiamo perso un grande talento e non ce ne faremo una ragione.
Anguilla che risale il Po, Massimo Bottura
Era il 2011 e svisceravamo percezioni chimiche, meccaniche e termiche di ogni piatto servito allora all’Osteria Francescana di Modena, avendo ben chiaro in mente che da lì a poco di Massimo Bottura si sarebbe fatta l’esegesi. “L’anguilla opulenta con aroma della laccatura al balsamico retro-nasale e salsa di mele spiccatamente acida che compensa l’unto, cipolla bruciata per aggiungere amaro accompagnate da polenta finissima e viscosa”, l’Anguilla che risale il Po insomma, farà la storia della nostra gastronomia, se non altro di questo decennio (anche) perché ha sdoganato l’unagi giapponese (letteralmente “anguilla”, qui intesa come tecnica di laccatura sulle braci”) in Italia.
Marinara ritrovata di Franco Pepe
Se Enzo Coccia segnò il mondo della pizza degni anni ’90, Franco Pepe le ha fatto fare il secondo salto di qualità, firmando l’ultimo decennio con la sua “Marinara ritrovata”, con tutto il rispetto assai superiore alla più famosa “Margherita sbagliata” di cui si tessono le lodi sopra tutte le creazioni del pizzaiolo di Pepe in Grani.
Pomodorini del Piennolo, alici di Cetara, basilico fritto, olive e capperi disidratati: Pepe è riuscito ad esprimere al massimo la forza della pizza napoletana, con una marinara.
Alici di scoglio in incontro tra saor e carpione, Enrico Bartolini
All’appello non poteva mancare Enrico Bartolini, premiatissimo in questo 2019 morente, nonché chef più stellato d’Italia. Ecco, questo è un piatto capace di riassumere il modo in cui lavora lo chef: le “Alici di scoglio” sono state sottoposte, negli anni, a una continua rivisitazione, un ossessivo, inesorabile lavorìo che ha condotto i sapori buoni e un po’ cafoni del saor alla perfezione.
Maki òs büüs, Wicky Priyan
Riso giallo allo zafferano, polpa di granchio, tempura di verdure, olio di scampi, ossobuco alla milanese, chips di Parmigiano Reggiano e patata viola. L’esempio più alto del fusion nostrano è quello del Wicky’s di Milano, l’ingiustamente mai stellato di Wicky Pryan: il maki di ossobuco è un piatto studiato per Expo 2015 capace di farci rivalutare Expo 2015.
Quadro di alici, Pino Cuttaia
Acciughe trattate con acqua di mare e ghiaccio, alternate al carbone del nero di seppia, cornice di maionese ottenuta lavorando la bottarga di tonno. Domina la cipolla, che ricorda (vuole ricordarlo? Chissenefrega, qui ne siamo convinti) gli anelli delle bottiglie di plastica che inquinano i nostri mari. Che il “Quadro di alici” sia un invito a riflettere sull’inquinamento è chiaro: l’unicità sta nella riuscita dell’intenzione, laddove il piatto esprime al meglio il concetto e riesce, al contempo, ad essere equilibrato, bello e significativo, nonostante faccia pensare, sostanzialmente, a una discarica marina. La Madia, Licata.