Se fossimo di quelli che lanciano nuovi trend, che fiutano l’aria, che anticipano le destinazioni gourmet potremmo dire che Castello – il sestiere di Venezia in cui si trovano, tra il resto, l’Arsenale e l’unica “via” cittadina, Via Garibaldi – è la nuova meta gastronomica della città lagunare. Siamo già stati in zona per recensire diversi locali, tra l’altro concentrati una manciata di metri; in altri andremo prossimamente. Ora, al di là della ricerca esasperate di tendenze e novità, è pur vero che l’impressione complessiva, girando per quello che viene considerato il sestiere più popolare della città – è che tra bacari storici, versioni moderne degli stessi, trattorie ruspanti, pasticcerie intramontabili, ristoranti di fine dining stellati (e non) e pietre miliari della storia gastronomica cittadina, Castello è davvero una zona di sicuro e vivace approdo. Meta di questa recensione è l’Hosteria da Franz.
La storia
Rilevato a metà anni ‘80 da Gianfranco Gasparini – decenni di esperienza nel settore – e collocato inizialmente nei pressi dei Giardini della Biennale, dopo una trentina d’anni il ristorante cambia sede, avvicinandosi all’Arsenale: l’attuale collocazione è a pochi passi da campo de la Bragora in una laterale (“ramo del forno” a conferma della vocazione gastronomica del luogo) rispetto alla direzione principale.
La storia vuole che il nome del locale tragga origine da quello del suo fondatore Franz Habeler, soldato austroungarico che alla fine dell’Ottocento trasformò una corderia – opificio volto alla produzione di funi e corde destinate all’industria navale cittadina – in un’osteria.
L’insegna ha mantenuto il legame lessicale con il passato (l’‘Hostaria) ma il contesto odierno, rinnovato, è riuscito contemporaneamente ad allontanarsi sia dalle sirene del richiamo furbo all’ipervenezianità e alla tendenza a trasformare tutto in bacaro o in osteria finto-antica – spingendo su legno, botti, banconi e talvolta richiami alle virtù terapeutiche del vino – sia a quelle, opposte, che trasformano i caratteri, magari ruspanti, del passato, in orpelli con velleità narrative che conducono a declinazioni varie di bistrot, enoteche con cucina e simili.
Qui la direzione impressa è stata, e continua ad essere, chiara, tenendo come riferimento l’artigianalità (in cucina ma anche nella cura degli spazi e nella scelta degli arredi), la tradizione seguita senza arroccamenti ma facendone diventare uno spunto per ragionare in modo contemporaneo su tecniche e materie prime. Il carattere di Franz, oggi, si deve al figlio di Gianfranco, Maurizio Gasparini, che è riuscito nel compito di condurre con mano ferma e coerenza il nome e l’identità del luogo, facendo del passaggio generazionale non solo una quesitone anagrafica ma anche un’occasione per stare al passo. Non è forse un caso allora che in sala, come sommelier, ci sia il figlio Gianluca, capace di mostrare la stessa attitudine alla sobrietà e alla competenza.
L’ambiente e il servizio
Una trentina i posti a sedere, sistemati in un‘unica sala ma in modo da far risultare ogni tavolo come uno spazio a sé, grazie ad alcuni accorgimenti sia ai tavoli che negli arredi complessivi. L’utilizzo di poldine di diverse altezze a descrivere piccoli centri di intimità, un’illuminazione complessiva priva di toni troppi alti ma capace di lavorare sul calore, richiamato anche dal legno, l’utilizzo di lampadari e applique di vetro di Murano, specchi ad ampliare le dimensioni, un lavoro fatto più sulla sottrazione e sull’eleganza che sull’eccesso: tutto concorre a capire come la scelta generale sia stata quella di fare in modo che ogni dettaglio costruisca una narrazione complessiva.
Dal momento in cui si viene accolti fino al servizio – condotto con garbo, in particolare verso i clienti stranieri ai quali i piatti vengono spiegati con calma e in modo dettagliato – e ai piatti in carta, l’impressione è quella di una coerenza e di un buon gusto complessivi.
Il menu e i prezzi di Hostaria da Franz
Il menu gioca felicemente su pochi piatti: 4 o 5 proposte per sezione in cui è il pesce a farla da padrone e la carne rimane un’alternativa. Come spesso accade in altri contesti della stessa fascia, la carta varia stagionalmente e, nel caso del pesce del giorno, quotidianamente. Il riferimento rimane la laguna di Venezia non solo per le proposte di pesce ma anche per quanto riguarda le verdure.
La carta riesce nel compito di giocare su un doppio binario, accontentando sia chi preferisca accostarsi alla storia gastronomia cittadina percorrendo sentieri tranquilli – magari perché è la prima volta che visita la città – sia chi è più avventuroso e ama accostamenti più innovativi e riferimenti che guardano alla contemporaneità. In entrambi i casi la mano è buona, non ci sono eccessi e l’impressione complessiva è quella di una piacevolezza trasversale. I prezzi vanno dai 26 ai 32 ero per gli antipasti, dai 26 ai 27 per i primi, da 32 ai 34 per i secondi, dai 10 ai 12 per i dolci. Ampia carta vini, con proposte interessanti anche a calice.
I piatti: come si mangia da Hostaria da Franz
L’apertura è affidata ai calamaretti in salsa mole: indiscussa la qualità della materia prima, rivelano un tocco capace di valorizzare, puntando su cottura e pochi ingredienti: carnosi e quasi croccanti, vengono esaltati da una salsa non troppo preponente e dall’elemento vegetale a riprendere la croccantezza e a giocare sui contrasti con l’amaro. Volutamente smorzati nei toni, ma con un risultato che rivela raffinatezza e velluto al palato sono poi gli spaghetti al burro affumicato e acciughe, che si inseriscono nel solco dei bigoli in salsa, ma di essi ingentiliscono la parte sapida e lasciano che la cipolla sia un’aria spruzzata a piatto finito. Plauso per le cromie e la temperatura di servizio, che esalta al massimo l’affumicatura. Spesso penalizzata da preparazioni banali, qui la triglia, tra i secondi, trova la sua dimensione: accostata a friggitelli e cicorino al garum, non solo riesce a tirar fuori la propria voce ma anche a dialogare con entrambe le verdure.
Assai interessante l’utilizzo del garum: se non riusciremo probabilmente mai a capire esattamente quale fosse il gusto della salsa degli antichi Romani, la versione qui proposta gioca sull’umami ma non si spinge al punto di coprire il sapore del cicorino, nei confronti del quale rimane un condimento saporito ma non troppo carico.
Il finale è affidato allo stupore, al gioco e al divertimento: su un nido di pasta kataifi fa la sua comparsa “El vovo”, un finto uovo di cioccolato bianco e frutto della passione, capace di chiudere con la dolcezza contenuta del cioccolato e le note fresche e leggermente acidule del frutto della passione. Privo di stucchevolezza e assai piacevole, riesce a cogliere nel segno, con ogni cucchiaiata che segue la precedente e apre alla successiva. Ai veneziani, ai veneti o anche agli amanti del dialetto, oltre al palato soddisfatto rimane anche il sorriso per l’utilizzo di un termine vernacolare. Qualcuno che abbia una buona memoria o semplicemente abbia avuto dei nonni con l’armadietto dei liquori in salotto, forse ricorderà il Vov. A prescindere dai livelli di lettura, un finale degno.
Opinione
A Castello, l’Hostaria da Franz è un indirizzo di sicuro approdo: gestione familiare, contesto elegante ma non lezioso né stucchevole, carta con proposte selezionate che rispettano stagione e disponibilità del mercato. I piatti guardano ai riferimenti tradizionali ma chi lavora in cucina ha l’intelligenza di stare al passo, alleggerendo, modernizzando, introducendo tecniche e ingredienti in grado di svecchiare.
PRO
- Pane fatto in casa ben lavorato ed entrée di benvenuto assai gradevoli
CONTRO
- La tipologia di clientela forse non consente di osare fino in fondo in cucina, laddove la mano lo consentirebbe