Che bella, la premiazione della Guida Michelin 2022 in Italia. Tutti noi – giornalisti, chef, appassionati di gastronomia in generale – siamo stati lì, attaccati a una diretta streaming, a fare il tifo per i nostri ristoranti preferiti e ad azzardare pronostici che puntualmente la Michelin si diverte a disattendere, manco lo facesse apposta.
Ma davvero ci meritiamo tutto questo?
O meglio, davvero non ci meritiamo qualcosina di più?
Perché la verità, al netto di tutte le polemiche che è il nostro lavoro trovare il giorno dopo la premiazione più importante del mondo gastronomico, è che forse nei confronti di questa Guida soffriamo tutti un tantino di sudditanza psicologica.
Ricordate quella che si diceva patissero gli arbitri a fischiare un rigore alla Juventus? Ecco, la stessa cosa pare che accada con la Guida Michelin. Tutti lì ad aspettare che esca la Bibbia gastronomica, a pendere dalle labbra di monsieur Gwendal Poullennec e soci, a non dormire la notte – gli chef – nell’attesa dell’arrivo degli ispettori in incognito.
Ansie in parte assolutamente giustificabili, visto che – vale la pena ribadirlo – la Guida Rossa è l’unica che veramente sposta ancora qualcosa nel mondo, dove per qualcosa si intendono turisti gastronomici paganti. Un risultato dovuto ad anni di credibilità e professionalità che, pur facendo le pulci alle scelte dei misteriosi ispettori, non si possono mettere in dubbio.
Quindi la risposta è sì, in parte ne vale la pena. Star lì ad aspettare una premiazione che si fa sempre più red carpet, contare le stelle e fare un tifo un tantino provinciale per la propria regione, o ancor di più per il proprio comune, quello in cui chiamiamo gli chef per nome tenendoci il loro numero in rubrica per fargli i complimenti quando hanno ottenuto il sudato macaron.
Eppure – c’è un eppure – forse dovremmo alzare un po’ più la testa, in un moto d’orgoglio collettivo. Perché se è vero che i nostri ristoratori e il nostro sistema gastronomico (e turistico) ha bisogno della Guida Michelin, è altrettanto vero che la Michelin ha bisogno dell’Italia, e del tam tam mediatico con cui la premiazione, e tutto ciò che ne consegue, viene seguita.
Un’attenzione che probabilmente ha pochi pari altrove nel mondo. Un’attenzione, però, che non viene sempre ricambiata.
Solo per fare un esempio, nell’ultima premiazione Michelin – quella di una manciata di ore fa – abbiamo visto assegnare al nostro Paese 36 nuove stelle. 33 una stella, e due new entry con due stelle, tra cui l’exploit del ristorante Tre Olivi di Paestum, passato da zero a due stelle in un colpo solo. Un buon risultato? Mica tanto, in realtà. Soprattutto se paragonato alla Francia. Nel 2021, la Guida Michelin assegnava nel suo Paese naale un nuovo tre stelle, due nuovi due stelle e 54 nuovi monostellati. Per un totale di 638 ristoranti premiati con i macaron (534 una stella, 74 due stelle e 30 una stella). E l’Italia? L’Italia, pur con le aggiunte dell’ultima premiazione, è tristemente ferma a 378 ristoranti stellati (329 una stella, 38 due stelle e undici una stella).
Di fronte a questi numeri, una domanda o due varrebbe la pena di porsele. Anche volendo supporre che la Francia sia gastronomicamente insuperabile, davvero siamo disposti a credere che la ristorazione italiana valga poco più della metà di quella dei nostri vicini d’Oltralpe?
Non c’è forse un certo campanilismo portato avanti da una guida che si suppone sia internazionale? E allora, quello stesso campanilismo, non potremmo tirarlo fuori noi mostrando un po’ di quel sano orgoglio italico che tanto spesso ci caratterizza nei luoghi comuni?
In fondo, ognuno di noi, nel suo piccolo, ha in mente decine di ristoranti italiani che andrebbero premiati (o premiati di più) per il lavoro che stanno facendo per innovare la loro cucina e la gastronomia nazionale. Eppure, anno dopo anno, pur rimanendo a bocca asciutta, siamo lì a sperare che la Michelin si accorga di loro.
Quod fugit ipse sequor, dicevano i latini. Chi non ti vuole non ti merita, diceva la mia mamma: forse è questa saggezza che ogni tanto dovremmo ascoltare.