Emmanuel Macron, il presidente francese, ieri era tra i partecipanti alla presentazione della Guida Michelin Francia. Non in presenza, all’interno del Palazzo della musica e dei congressi di Strasburgo come avrebbe voluto, ma in un video in cui si è detto rammaricato per non aver potuto prendere parte all’evento di persona.
E mai come in questo caso credo, nel mondo, sia stato dato un segnale così forte al settore della ristorazione (e non solo) da parte di un capo di stato e questo proprio durante l’evento più importante per il firmamento degli chef: quello delle stelle che hanno il potere di cambiare la vita di un ristorante e di una carriera. Mai in Italia si è vista una cosa del genere e penso che le visioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella o delle più alte cariche dello Stato siano purtroppo ancora prive di quella lungimiranza capace di comprendere il valore del mondo ristorativo italiano e dell’indotto che gli gira intorno per poter arrivare a un passo come questo.
Un atto significativo, quello di Macron, ma non solo simbolico: una presenza che la dice lunga su come la Francia creda nel sistema agroalimentare e turistico del suo territorio, di quanto sia in grado di valorizzarlo sin dalla sua formazione, capace di creare figure di rappresentanza riconosciute e ambite in tutto il mondo. Parlo dei Mof, acronimo di Meilleures Ouvriers del France ossia “migliori operai di Francia”: un’associazione unica a livello globale che raggruppa 200 professioni tra cui quella di cuochi e pasticceri, e che ne difende i valori promuovendo “l’intelligenza delle mani” capace di garantire la salvaguardia e il rinnovamento del patrimonio artigianale dello stato d’oltralpe.
Il discorso di Macron
Macron ha irrotto negli schermi di Francia e del mondo con il suo discorso ricco di spunti di riflessione e colmo di stima e riconoscimento per un intero settore capace di far brillare la Francia. E sono certa che la domanda nella mente di quanti hanno assistito alla diretta che consacra da 123 anni la ristorazione francese (e man mano quella mondiale) attraverso la Guida Michelin sia stata universale: “Perché un Capo di Stato parla durante la proclamazione dei migliori ristoranti del Paese?”. Perché riconosce un patrimonio gastronomico, l’importanza di un settore e di un lavoro, la straordinaria capacità attrattiva che questo ha a livello turistico ed economico. Del resto L’Europa è la prima destinazione gastronomica mondiale – ha ricordato Gwendal Poullennec, direttore della Guida Michelin – e, tra i paesi, la Francia occupa un posto speciale.
E Macron non solo ne è consapevole, ma ne è anche fiero come testimonia la conclusione del suo discorso con un orgogliosamente patriottico “Viva la gastronomia francese, viva la Repubblica e viva la Francia”. Del resto nel suo discorso ha ricordato l’importanza della gastronomia e del settore alberghiero, in particolare in termini di promozione sociale, merito, trasmissione, evocando anche il valore della gastronomia e il ruolo della cucina nel campo della diplomazia. Emmanuel Macron ha esaltato “l’arte di vivere alla francese” e ha evocato una miriade di argomenti, dall’apprendimento alle mense scolastiche e al ruolo delle donne nella professione, ma ha voluto anche affermare il suo sostegno ai ristoratori, al settore agricolo, della formazione, delle professioni di servizio.
Macron si è congratulato per aver fatto della formazione professionale una priorità (la Francia ha avuto 837.000 apprendisti nel 2022 e dovrebbe raggiungere il milione nel 2027), e a questo riguardo ha voluto poi rinnovare il suo impegno nella formazione dei giovani nel settore della ristorazione ricordando il futuro centro di eccellenza, “la Clairefontaine della gastronomia”, che dovrebbe trovare sede a Lione e che lo Stato finanzierà per formare i futuri chef e campioni di domani nelle competizioni internazionali di ristorazione. Ha di base affermato il sostegno a una professione indebolita dalla pandemia (che ha saputo fronteggiare egregiamente, ha ammesso), dall’aumento del costo delle materie prime, dell’energia e dalla carenza di personale: “Continueremo a batterci vicino a voi – ha detto – perché siete quelli che nutrono la Francia, che si alzano presto e che ci accompagnano ogni giorno nella vita quotidiana”. Ha ricordato come l’alimentazione sia importante per la salute, ha esaltato il grande patrimonio agricolo francese e l’abilità dei cuochi nel farlo conoscere, nel raccontarlo, nel trasformarlo. Si è congratulato con la Michelin che “consacra l’eccellenza”, così come con gli chef premiati, ma si è rivolto anche a quanti sono stati retrocessi (due i casi eclatanti di Guy Savoy e Christopher Coutanceau che hanno perso le tre stelle Michelin) perché come nelle competizioni le sconfitte siano da stimolo per fare meglio.
Mof e Bocuse d’Or: come comunica la Francia
Che la Francia sia patria di grandi prodotti enogastronomici e di chef che hanno scritto la storia della cucina mondiale è cosa risaputa, ma questo Paese è anche il regno di una comunicazione gastronomica di altissimo livello iniziata con almeno cinquant’anni di anticipo rispetto a quella italiana. La Francia vive del lustro di grandi marchi e terroir come Champagne o Bordeaux (solo per citarne alcuni), ma anche di formaggi, carni, salumi, prodotti di pasticceria conosciuti sulle tavole di tutto il mondo. Le eccellenze ci sono anche a casa nostra, ma rispetto ai cugini francesi, non siamo capaci (tra le altre cose) a comunicarli.
Prendiamo due casi emblematici: i Mof, di cui accennavo prima, e il Bocuse d’Or che tanto fa discutere ancora oggi in Italia per la sua (a dire di molti, ma per fortuna non di tutti) poca utilità. Questi non sono altro che due punti fondamentali di riferimento di una cultura legata al mondo della ristorazione che in Francia parla di meritocrazia e che, negli anni, sono serviti non solo a decretare il rispetto intorno ai mestieri legati alla cucina, ma hanno contribuito insieme ad altri fattori a fare della ristorazione francese non solo un elemento di attrazione turistica, ma un vero baluardo di identità e di orgoglio nazionale.
Diventare Mof e fregiarsi del celebre colletto blu, bianco e rosso sulla giacca, è qualcosa a cui si ambisce dal 1924, quando per far fronte alla crisi dei mestieri manuali in seguito alla Prima Guerra Mondiale, il governo francese ideò questo concorso per premiare i migliori lavoratori di Francia in differenti discipline (anche formaggiai, pasticceri e chef). E non si diventa Mof a caso: nella fase di qualificazione dei candidati, ogni anno, vanno superate prove teoriche e pratiche passando da nozioni di chimica alla storia della cucina classica fino alla preparazione di differenti piatti in un numero preciso di ore a disposizione. Passate le selezioni, diversi mesi dopo i finalisti si ritrovano per la prova finale che, decretando i migliori lavoratori di Francia, li immortala d’ufficio nell’olimpo dei grandi chef.
Il Bocuse d’Or ideato nel 1987 da Paul Bocuse (anche lui orgogliosamente Mof) è il mondiale degli chef che ogni due anni vede sfidarsi a Lione in poco più di cinque ore di gara i migliori team di cucina di tutto il mondo che accedono alla finale attraverso selezioni nazionali e continentali. Vincere un Bocuse d’Or, per molti, è come ottenere le stelle Michelin. È essere riconosciuti nell’olimpo della grande cucina mondiale e lo sanno bene nazioni come quelle del nord Europa che da anni investono su questo concorso come vetrina e traino di un turismo gastronomico che diventa fenomeno mediatico e culinario.
E in Italia?
Patrimonio gastronomico, patriottismo (culinario), valore e ruolo della cucina in ambito diplomatico, formazione professionale, importanza del settore agricolo, dello sviluppo turistico ed economico che il settore della ristorazione e del suo indotto sono in grado di creare, in Italia sono ancora argomenti troppo slegati tra loro per poter riuscire ad avere una voce di rappresentanza comune. Manca l’orgoglio forse, la consapevolezza di fare sistema, la volontà politica di puntare su uno dei settori di traino dell’intero indotto italiano del Made in Italy. L’Italia dei campanili, delle piccole produzioni locali che danno a questo Paese un valore inestimabile grazie alla sua biodiversità e alla capacità tutta nostrana di creare piatti diversi con gli stessi prodotti anche a pochi chilometri di distanza non trova un’eco capace di andare oltre il proprio naso.
Le associazioni di categoria (e non sono poche) non sono in grado di fare sistema, di fare costantemente fronte comune per parlare alle istituzioni e farsi sentire. Ognuno sembra, parliamoci chiaro, preoccuparsi solo del proprio “orto” per essere migliore degli altri. In Italia non vince la squadra, vince il singolo ed è anche per questo che nelle competizioni mondiali di cucina (altro discorso per la pasticceria) non riusciamo mai a emergere. Le scuse sono tante: abbiamo la migliore cucina del mondo; perché dovremmo metterci a competere con altre nazioni; l’italianità è riconosciuta sulle tavole del globo grazie a materie prime di assoluta eccellenza e potremmo andare avanti per ore. Tutto sacrosantamente vero. Possiamo vantarci di essere tra i numeri uno al mondo per cultura gastronomica, tradizione, prodotti, grandi cuochi.
Ma questo è sufficiente? Forse politica e istituzioni, insieme ad associazioni di categoria e attori del settore dovrebbero capire che per fare la vera differenza e non adagiarsi sugli allori del passato occorra fare squadra, sistema. E forse solo quando il governo, di qualsiasi colore esso sia, riconoscerà ufficialmente con una presa di posizione adeguata il valore culturale gastronomico italiano anche noi potremo sperare di vedere un presidente della Repubblica parlare con orgoglio al mondo della ristorazione. Mondo che va, in primis, sostenuto e incoraggiato con nuove leggi in grado di migliorare la sostenibilità del lavoro nelle cucine, la formazione negli istituti alberghieri, le ore di lavoro nei ristoranti, la qualità della vita: elementi che nel 2023 non possono essere paragonati a quelli in vigore ben più di più di cinquant’anni fa.