Piaccia o no, in questo Paese (come in altri) nulla sposta gastronomicamente i numeri come lo fa la Guida Michelin. E non è un caso che gli chef di tutta Italia passino notti insonni in attesa di una chiamata da parte della Rossa, convinti che possa cambiare la loro carriera (sempre che non abbiano un orto), come in effetti in parte può fare. La Guida Michelin non perde il suo smalto, e anzi sembra imparare da alcuni errori del passato, facendosi di anno in anno sempre più spettacolare, riempiendo teatri, diventando evento e, dunque, provando a coinvolgere anche il grande pubblico e non solo quello degli addetti ai lavori.
Dopo la Franciacorta, questo è stato l’anno dell’Emilia Romagna, che ha visto arrivare in Italia un nuovo tre stelle, due nuovi due stelle e trentatré nuovi una stella Michelin, per un totale di 393 stelle distribuite in tutta la Penisola. E le considerazioni da fare, all’indomani della festa per la settantesima edizione della Guida, restano ancora molte. Noi abbiamo provato a farne alcune, in ordine sparso.
Ancora non ci siamo
Bello, bellissimo. Soprattutto il fatto che i tre stelle italiani diventino quattordici è indubbiamente un grande risultato per il nostro Paese, che Gwendal Poullennec – direttore internazionale della Guida Michelin – non esita a definire uno tra i più influenti e affascinanti al mondo a livello gastronomico. Tutto vero, probabilmente. Ma resta il fatto che – ancora – l’Italia ha più o meno la metà degli stellati della vicinissima Francia, e perfino la proporzione con la piccolissima Svizzera sembra impietosa per i nostri chef. Dunque: c’è un problema? E se sì, qual è? Se l’Italia è gastronomicamente così rilevante, perché non riesce a crescere più di così per la Guida Rossa? Noi una risposta non l’abbiamo, in realtà, ma ci limitiamo a constatare che ancora non ci siamo.
Il Piemonte ringrazia Antonino Cannavacciuolo
Sarà che chi scrive mangia letteralmente pane e Piemonte, ma a conti fatti, ancora una volta, una delle regioni che più punta sulla gastronomia esce dalla premiazione Michelin con le ossa un po’ rotte. Era già successo lo scorso anno, in effetti, e poco si era visto di nuovo all’orizzonte. Eppure qualche nome ci sarebbe pure stato: Christian Costardi da Scatto a Torino, per esempio. O Alessandro Mecca al Castello di Grinzane. O ancora Charles Pearce al ristorante Lorto di Nordelaia, o magari le due stelle a Condividere, che è il ristorante più internazionale che Torino può vantare. Invece, nulla di tutto ciò è accaduto, ma anzi il Piemonte perde qualche stella per chiusura (il RistoranTino di Sauze di Cesana e Spazio 7 alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo) e più di qualcuna per mancata riconferma (il Tantris, storica stella novarese, il Gardenia di Caluso, guidato dalla chef Mariangela Susigan, La Madernassa a Guarene, partito due anni fa con due stelle). Pesa in particolare la perdita di entrambe le stelle del Piccolo Lago di Marco Sacco, proprio nell’anno in cui il ristorante festeggia i suoi cinquant’anni, forse penalizzato dalla vicenda giudiziaria che lo ha coinvolto mesi fa.
Per fortuna, dicevamo, che c’è Antonino Cannavacciuolo, che porta a casa il ruolo di Chef Mentore 2025 e che dimostra di meritarselo appuntando al suo firmamento altre due stelle, quelle per il ristorante de Le Cattedrali Relais ad Asti (resident chef Gianluca Renzi) e per il Laqua by the Lake di Pettenasco, in provincia di Novara (resident chef Gianni Bertone).
La festa di Modena
Questa settantesima edizione della Guida Michelin è stata un po’ la festa di Modena, bisogna dirlo. Una città che è nel cuore della food valley dell’Emilia Romagna, in rappresentanza di un territorio in cui si producono ben 23 dei 44 prodotti Dop & Igp dell’intera regione, che peraltro ha il primato europeo in questo senso (molti dei quali, nella denominazione ufficiale, riportano “di Modena”, con una forte connotazione territoriale). La seconda città in Italia per valore dei prodotti tipici certificati, con 841 milioni di euro. Un Paese, in realtà, più che una città, che però ha realmente saputo fare della sua enogastronomia un biglietto da visita universale, con il suo Lambrusco – che è stato a lungo considerato una Cenerentola dei vini, ma che grazie al lavoro di molti produttori bravi oggi sta tentando di vivere una seconda giovinezza – con il suo aceto balsamico, e pure, diciamocelo, con il suo Masssimo Bottura.
La festa di Massimo Bottura
La festa di Modena è stata in realtà la grande festa di Massimo Bottura, che ha accolto nella sua città colleghi, giornalisti, amici, come fosse un padrone di casa orgoglioso di aprire le porte della sua dimora. I suoi ristoranti si sono trasformati, la sera prima della premiazione, in un gigantesco hub gastronomico in cui pareva realmente esserci una festa, a cui tutti quelli che contano hanno partecipato. Poi, doppiamente contento, lo chef dell’Osteria Francescana ha anche portato a casa una brillante stella Michelin, quella della sua bravissima Jessica Rosval al Gatto Verde, e con lei ha festeggiato affacciandosi al balcone del Teatro Pavarotti, come fosse un gastronomico re di Modena.
Le grandi delusioni
Alcuni assenti illustri alla premiazione: su tutti si fa sentire la mancanza di Ducasse a Napoli, che tutti davano già per stellato, vista una certa predilezione della guida per il suo paese natale e per gli chef che da lì arrivano, figurarsi poi quando si chiamano Ducasse. Non è stata l’unica delusione, in effetti: più di tutti probabilmente torna a casa con un mezzo sorriso Luca Zecchin, chef del ristorante Coltivare, che avevamo pochi giorni fa nominato a proposito della sua stella verde dello scorso anno. Lo chef, invitato per la seconda volta dalla Michelin, avrà certamente ipotizzato (o quantomeno sperato) una stella rossa quest’anno, e invece se ne torna a casa con un premio speciale.
Che, attenzione, è pur sempre qualcosa, ma gli occhi di tutti i cuochi, si sa, sono puntati in un’unica direzione.
La nuova conduzione
Promossa Giorgia Surina, alla sua prima prova alla conduzione di un palco non facilissimo. Nominare correttamente tutti gli chef sembra essere un’impresa ardua, se non provieni dalla bolla gastronomica. E trovare qualcuno che sappia stare sulla scena ma che contemporaneamente conosca la bolla gastronomica sembra essere un’impresa impossibile, e in effetti a noi viene in mente solo Valentina Nappi, ma dubitiamo che sia in linea con le scelte di rigore della Guida Michelin.
La festa che è una festa (evviva)
Luci, paillettes, effetti speciali: la festa Michelin sembra finalmente trasformarsi in una vera festa, e anche se non tutti apprezzano, noi invece siamo convinti che sia una scelta vincente. Evviva, e largo a chi sa sbottonarsi un po’, a urne chiuse.
I grandi esclusi e la personalità
All’indomani della Guida Michelin, anno dopo anno, è tempo di dare spazio ai grandi esclusi. A quei nomi che avremmo voluto vedere e che non ci spieghiamo realmente perché non vengano presi in considerazione. Dina a Gussago, ad esempio. Ma anche Da Lucio a Rimini. Le vie della Michelin sono infinite, e non so quante volte l’ho ripetuto in questi giorni: nessuno sa bene perché qualcuno entra e qualcun altro resta fuori, nonostante sia indubbiamente meritevole. Quel che pare, comunque, è che ci siano ristoranti più in linea con gli standard Michelin, più allineati con una certa tipologia di cucina (e di rigore) data dai grandi chef (non si contano più le stelle raccolte dai giovani allievi di Cannavacciuolo o di Bartolini, per dire), più adatti in qualche modo a far parte della guida gastronomica più celebre del mondo. Forse chi non è in questa categoria, in quella guida non ci entrerà mai, per quanto possa far parte dell’avanguardia culinaria di questo paese. E forse, tutto sommato, è anche bello così, perché tutti abbiamo bisogno, almeno di tanto in tanto, di un po’ di personalità fuori dal coro.