La Guida Michelin 2022 ha visto il Veneto piazzarsi in quinta posizione come numero di ristoranti che si fregiano della stella, ma contemporaneamente ne ha fatto la seconda regione più premiata dopo la Campania, con 5 nuovi locali stellati. Di questi, 3 sono a Venezia, che segna – contestualmente – l’uscita di due punti fermi della rossa in laguna. Andiamo con ordine, diamo un po’ di dettagli e proviamo a capire, soprattutto, come può essere letto ed interpretato questo avvicendamento.
Tre nuovi ingressi, dicevamo, ognuno con un’identità precisa, non solo gastronomica. Il primo è il Local: aperto nel 2015, rappresenta il successo di una squadra compatta e quasi totalmente lagunare. Veneziana è Benedetta Fullin, gestrice del ristorante, mentre di Burano sono sia lo chef Matteo Tagliapietra che il souschef Marco Vallaro. Poi c’è Zanze XVI, frutto di un progetto che 4 anni fa ha portato alla riapertura di uno storico indirizzo chiuso da tempo: qui in cucina c’è Stefano Vio, poco più che trentenne, ma l’anima porta all’entroterra veneto, in particolare a Castelfranco. Originari della cittadina veneta sono infatti sia Nicola Possagnolo, giovane imprenditore e startupper cui si deve il progetto del rilancio del locale, sia Nicola Dinato, che di Zanze è consulente, forte di una solida Stella Michelin con il suo Feva. Infine Wisteria, insegna raffinata, che ha dato prova, grazie alla cucina di Simone Selva – 24 anni – e al lavoro dei due soci Massimiliano Rossetti e Andrea Martin, di come l’improbabile sia possibile: aprire in piena pandemia, sopravvivere e guadagnare una stella. A guardarle da fuori, verrebbe da dire che il tratto comune sia la (relativa) giovane età degli chef. Provando ad andare un po’ in profondità, i tre locali raccontano tre storie diverse pur avendo una chiave di lettura condivisibile.
La stella del Local è stata sudata e letteralmente conquistata, ed arriva al termine di un percorso solido ed in costante crescita in cui la cucina di Tagliapietra è maturata, diventata più sicura di sé e capace di dimostrare di aver raggiunto quel difficile equilibrio tra azzardo, piacevolezza e comfort del palato. Si esce da Venezia, si fa il giro del mondo e si rientra, con una consapevolezza maggiore di sé e delle potenzialità della cucina locale e dei prodotti. Si smette di essere provinciali e si va fino in fondo rispetto alle proprie radici, guardando alla laguna intera, isole comprese.
Altra storia per Zanze, in cui la dimensione del “progetto” ha portato a costruire uno spazio che dopo un inizio un po’ traballante ha trovato una stabilità, forte anche di una consulenza come quella di Dinato che nella cucina di Vio ha trovato un capace rappresentante in laguna. Anche qui si guarda soprattutto all’Oriente, e fortissimi sono i richiami alla storia veneziana e al commercio di spezie. Qui, inoltre, è più marcata la visione imprenditoriale, che tuttavia ha dimostrato, dalla puntata di 4 ristoranti in poi – da cui Zanze uscì vincitore – come le idee vincenti portino risultati e in tempi tutto sommato brevi.
Scelta completamente diversa quella di Wisteria, al limite del basso profilo, con una cucina che sostanzialmente seleziona da sé i propri clienti e che è arrivata, contro ogni previsione e in sordina all’ambito riconoscimento. Talmente in sordina da sorprendere addetti ai lavori e appassionati e a far dire che la materia prima, la capacità, l’intelligenza e la cultura nel trattarla, possano davvero far sentire la propria voce indipendentemente da e oltre i megafoni.
Non è l’età anagrafica, allora, il punto di contatto tra i tre premiati, quanto piuttosto la dinamicità che lasciano trasparire, e la dimostrazione della volontà e della capacità di riuscire a mostrare un volto finalmente maturo della gastronomia veneziana, ferma da anni in una replica stantia di sé stessa. Le stelle di oggi, insomma, sono una sorta di premio ad un percorso collettivo, in realtà, intrapreso negli ultimi 10 anni circa e iniziato in modo silente da una generazione di poco più che trentenni, che ha dimostrato come la lezione del passato non debba necessariamente essere replicata per poter essere apprezzata, anzi. Evidenziano, insomma, come proprio grazie all’apertura mentale e culturale – e quindi gastronomica – e grazie ad esperienze di studio e confronto all’estero, sia possibile dare linfa vitale ad una cucina altrimenti quasi agonizzante. E sono uno sprone a restituire alla città una sua dimensione identitaria slegata finalmente da riferimenti ed imposizioni turistiche e che sappia essere all’altezza del ruolo che il capoluogo lagunare ha in altri contesti (accademico, culturale, architettonico, artistico, cinematografico).
La guida, infine, non ha mancato di escludere due grandi nomi, solidissimi fino all’altro ieri. Il Ridotto e Fiore. Qui le somiglianze sono più evidenti, con una dimensione familiare che è il tratto essenziale di entrambe le insegne. In un caso, tuttavia, si paga un passaggio generazionale padre-figlio non completamente compiuto, nell’altro una stabilità che ha finito forse per diventare staticità.
Complessivamente, Venezia esce dall’edizione di quest’anno vincente. Non tanto come numero di stelle (altissimo, e forse un unicum nel panorama mondiale, se rapportato ad uno spazio geografico ridotto) quanto come qualità, restituendo l’immagine di una città che è maturata molto e finalmente riesce a raccontare qualcosa di nuovo, addirittura con più voci.