C’è un periodo dell’anno in cui i cuochi si fanno ombrosi, scontrosi, sospettosi. Coincide con l’inizio dell’autunno.
Direte: sono stanchi per la lunga estate lavorativa? Oppure: odiano l’ora solare? O anche: il freddo li rende nervosetti?
Niente di tutto questo.
Il fatto è che cominciano uscire le guide. E ogni presentazione è una piccola dose di ansia, un’ora in meno dormita, un capello bianco che si aggiunge agli altri sotto la toque.
Come è andata all’Espresso? Ci siamo su Golosaria? Su Identità? Osterie ci ha mantenuto la chiocciola? E via così.
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Ma, diciamo la verità, sono solo avvisaglie del vero attacco cardiaco.
Sono frisson in vista della Madre di Tutte le Ansie: l’assegnazione delle stelle Michelin. Anche quest’anno la cerimonia avverrà a Parma e come sempre chiuderà, sostanzialmente, la stagione dei voti: si terrà il 16 novembre, giusto in tempo per uscire sugli scaffali natalizi.
Solo nelle ultime settimane ho sentito tre cuochi dire, rispettivamente: “è venuto il direttore Lovrinovich, quest’anno ce l’abbiamo fatta!”; “se non prendo la terza stella smetto di fare questo mestiere”; “se non me la danno è uno scandalo.”
Io continuo a capire questi cuochi ma continuo a invitarli alla prudenza: certo, il macaron per tanti è lo scopo della vita professionale (e talvolta non solo), ma sono convinto che questo atteggiamento non porti nulla di buono. Uno lavora meglio se è concentrato, non se è agitato.
Scorsese ha vinto il suo unico Oscar a sessantacinque anni, Philip Roth non ha mai ricevuto il Nobel nonostante tutti l’abbiano sempre dato per favorito. Hanno lavorato benissimo, hanno realizzato capolavori, hanno conquistato milioni e milioni e milioni di spettatori e lettori anche senza statuetta sul caminetto.
Poi per carità, i premi fanno sempre piacere, ma non devono obnubilare la mente. Cucinate come se doveste ricevere la stella domani.
Rilassatevi come se doveste prenderla mai.