In Sicilia ci sono 10 ristoranti con una stella Michelin e 4 con due stelle, tutti appena riconfermati dall’edizione 2018 della guida. Ma nell’isola la Rossa questa volta non ha assegnato nuove stelle.
Neanche a Zash, nome caldissimo della vigilia, con tanto di chef finalista al Bocuse d’Or 2017, versione indigena di un noto concorso internazionale.
[Com’è andata la Guida Michelin 2018: le novità]
Zash, lussuosa locanda nata nel 2012 dal restauro di un ex casa padronale tra Catania e Taormina, ha un colpo d’occhio fantastico, in cucina il giovane e audace Giuseppe Raciti è più che una promessa, eppure, anche questa volta, Zash ha fallito l’obiettivo stella.
Cerchiamo di capire perché questa benedetta stella tarda ad arrivare.
L’ATMOSFERA
Vero, la scelta di descriversi come un “country boutique hotel” non è delle più felici, ma le 9 camere sparse nel verde di un agrumeto hanno un sapore molto contemporaneo. Due in particolare, racchiuse tra pareti di cristallo con vista giardino, permettono a luna e stelle di disegnare l’orizzonte.
In una strada secondaria, una specie di labirinto conduce al ristorante ambientato in un vecchio palmento (il posto in cui anticamente si pigiava l’uva per ricavare il mosto). Il design moderno, nonostante la materica presenza della pietra lavica, come si addice alle zone dell’Etna, non riesce a scaldare.
Carla Maugeri, giovane proprietaria di Zash con il compagno architetto Antonio Iraci, alternando cromie grigie e trasparenze è riuscita a rispettare la natura del palmento. L’arredo sembra uscito da una rivista per architetti, a iniziare dai tavoli Lago e dalle lampade Groppi.
Gli ingressi per il ristorante sono due. Entrando, passa qualche minuto prima che qualcuno si accorga dei nuovi clienti. La responsabile, cui spetta il compito di fare gli onori di casa (ma solo nel tavolo accanto al nostro), è di un eleganza ricercata, con gli stivali perfetti per la monta inglese, complemento ideale in un’ambientazione da resort di campagna.
[Guida Michelin 2018: perché Cracco ha perso una stella?]
Tutto molto chic, direte, ma questa continua attenzione per il bello come si riflette sui clienti del ristorante?
Una volta accomodati, bisogna attendere parecchio anche per avere l’acqua. Sul tavolo, il piattino dell’olio, ovviamente stilizzato e bello, rimane tristemente vuoto.
Tanta apparenza e poi così poca cura dei dettagli? Anche il servizio sembra distratto, durante la cena si sommeranno consigli fugaci, lievi ritardi, dimenticanze sorridenti.
LO CHEF E LA CUCINA
Allievo di Ezio Santin all’Antica Osteria del Ponte prima, poi di Massimo Mantarro, chef del ristorante Principi Cerami di Taormina, Giuseppe Raciti è un vero talento in formazione che ha conservato l’umiltà degli inizi. Autoctono, dedica alla cucina del posto accenni veloci, prendendone in sostanza le distanze.
I menu degustazione sono 4: “né carne né pesce”, 55 euro, inizia con l’uovo poché dedicato a Santin, gli altri sono “Trinacria”, “Ci penso io” (lasciato alla scelta dello chef), infine la nostra scelta: “Universo mondo terra”.
Il benvenuto dello chef è un fritto da street food, un piccolo arancino di zucca e provolone e una crespella con acciuga. Abbastanza banale nell’aspetto ha un sapore formidabile, siciliano autentico.
Entusiasma poco, visto il sapore insignificante, la focaccia con stracciatella di bufala, tonno salaggionato e quenelle di avocado.
[Sicilia: i 25 migliori ristoranti del 2016]
L’attenzione per il prossimo piatto è massima, come capita a noi siciliani quando una portata è del tutto estranea alla nostra cucina. Si tratta di un carpaccio di filetto di scottona irlandese, con lardo al pepe nero, senape di digione, maionese di lamponi, rucola selvatica.
Ma nemmeno a dirlo, a distinguersi tra gli altri ingredienti è la provola fritta, racchiusa in una specie di croccante crespella. Buona idea di Giuseppe Raciti realizzata alla perfezione.
Incuriosisce un fuori menu che ricorda nel nome Scillichenti, frazione di Acireale rinomata per il pane cunsatu (condito).
È un pane con alici marinate al peperoncino fresco, aglio e limone, burratina, pomodorini datteri, capperi di salina, indivia riccia e basilico.
Le alici marinate sostituiscono quelle salate, la burrata è fin troppo leggiadra ma il pane è un invito irresistibile.
Arriva la pasta: tagliolini alla finta carbonara di porcini dell’Etna, zucca gialla, guanciale di maialino e provolone ibleo.
Benché Raciti la definisca finta, questa è un’autentica carbonara etnea, il primo piatto che mangiamo tenacemente vulcanico. Bello a vedersi, gustoso, è anche un gioco di cotture riuscite: pasta, funghi porcini e guanciale.
A seguire pluma di maiale iberico.
Quello che il menu descrive come “il nostro cavallo di battaglia” è un piatto che in realtà dice poco, un esercizio di stile fine a se stesso, come l’assolo di un musicista molto tecnico ma con poca anima. Da uno del livello di Raciti ci si aspetta più considerazione per gli avventori.
[Il buonappetito – Sopravvivere all’ospitalità siciliana]
Il maiale è cotto a bassa temperatura per ammorbidirne la carne, ma i sapori non traggono vantaggio dalla lunga permanenza a contatto col fuoco, e gli abbinamenti nel piatto sembrano casuali, come per la salsa di liquirizia, aceto balsamico e caffè.
Il dessert si chiama tartufamisù (evabbè). Ma al netto del nome la crema al mascarpone, il gelato al caffè e la salsa di cioccolato al latte fanno il loro dovere.
GIUDIZIO FINALE
Finora il languido entusiasmo di buona parte dei critici e food blogger siciliani ha protetto il ristorante dalle critiche, ma la stella Michelin, ancora una volta, non è arrivata.
L’impressione è che se allo Zash il design è servito, la cucina lo sia meno, con la personalità dello chef, certamente di talento, ingabbiata da una ricerca estetizzante cara soprattutto alla proprietà.
SP2/I-II, 70, 95018 Riposto (CT)
Tel. 095 782 8932
[CREDITI – FOTO ALFIO BONINA]