Già l’insegna, che sotto al nome, Gran Ristoro, puntualizza “150 tipi di panini”, tradisce una certa attitudine a giocare al ribasso: pare, infatti, che un cliente ingegnere abbia calcolato in oltre un milione le possibili combinazioni. Soffermarsi sui numeri rischia, tuttavia, di ridurre uno dei luoghi più iconici del centro storico di Genova a una sterile contabilità o, peggio ancora, di indurre nell’equivoco che si stia parlando di un’ordinaria – per quanto fornita – paninoteca. Questo minuscolo bugigattolo, incastonato sotto ai portici medievali di Sottoripa, non offre, invece, solamente la possibilità di addentare il panino perfetto sorseggiando un gotto di vino alla mescita, ma anche, e soprattutto, quella di partecipare a uno di quei preziosi riti collettivi che ancora animano i quartieri non del tutto gentrificati.
Così, sotto all’antica volta mosaicata da cui pendono prosciutti, provoloni e fiaschi di vino, sfila ogni giorno una promiscua processione della più varia umanità: personaggi che forse mai si incontrerebbero e che qui, invece, sono costretti a osservarsi, sfiorarsi, parlarsi, dando vita a una sorta di inconsapevole pièce surrealista.
Strizzati nell’onnipresente, ma scorrevole, coda, notai in gessati sartoriali attendono il proprio turno vicino a portuali dalle tute sporche; studenti imberbi e direttori di giornali discettano di salse e condimenti; poveri diavoli avvinazzati si rattoppano l’anima a colpi di Chianti, mentre gente studiata presta gentile soccorso linguistico a smarriti turisti. Tra signore imperlate e muratori impolverati, non è raro scorgere anche qualche abito talare, come quello di un vescovo buongustaio qui di casa, confondersi tra i cappotti rammendati di chi nella vita ne ha viste troppe.
Al Gran Ristoro si accorcia così ogni distanza e, giunto finalmente il proprio turno, serve solo aver contezza dei propri desideri. L’impresa non è tuttavia facile, perché gli ingredienti a disposizione sono pressoché infiniti (oltre un milione, come si diceva) e spaziano dai più classici insaccati, formaggi e sottolii a tesori edibili come il salame di fegato, il mosciame di tonno o l’ossocollo friulano.
A selezionare con straordinaria competenza questo bendidio è il titolare Stefano, guru del panino perfetto e dottore in salumi e formaggi: sembra una boutade, ma è veramente laureato in scienze delle produzioni animali e tra salumi e formaggi ci è quasi nato. Il locale, che già esisteva negli anni ’40 come fiaschetteria (il Gran Chianti), è stato infatti rilevato dai suoi genitori, ex salumieri, nell’85. Da allora non vi è giorno in cui non lo si veda dietro all’affettatrice ad alternare consigli pazienti e battute taglienti.
Se gli indecisi si abbandonano con ben riposta fiducia ai suoi suggerimenti, gli habitués optano invece per i leggendari intingoli – spesso carni o salumi affogati in salse segrete – preparati ogni giorno dalla madre Maria Grazia (classe ’41). Così, la richiesta di una Camilla tartufata o di un Giubbe rosse o la voglia di un Minestrone o di un Misto piccante (un rito di passaggio all’età adulta), non sono solamente ordinazioni, ma vere e proprie affiliazioni a clan rivali.
La scelta del pane è (grazie a Dio) unica e ricade sul formato-archetipo del panino popolare: la classica papera. Mollica soffice e crosticina sottile consentono infatti una masticazione agevole, mentre la neutralità aromatica lascia all’imbottitura lo spazio di esprimersi senza mediazioni.
Così, se i sapori variano al variare degli ingredienti (sempre ottimi) o degli abbinamenti scelti (talvolta pessimi, ma il Gran Ristoro è avamposto di libertà e nessuno vi tratterrà dall’harakiri papillare – al più vi beccherete un’alzata di sopracciglio), affidarsi ai consigli di Stefano si rivela sempre una decisione felice.
Se sfidato, poi, il suo estro può dare vita ad accostamenti estremi, ma di sorprendente armonia: provate sfilacci di cavallo, agrumi marinati e cipolla rossa, oppure carré all’arancia, prescinsêua, cipolline e lamponi e non ne resterete delusi.
Un’ulteriore peculiarità del Gran Ristoro, che vanta oramai innumerevoli (ma sbiaditi) tentativi di imitazione, risiede nella capacità di mantenere farciture abbondanti e prezzi popolari – che partono infatti da due euro e mezzo e difficilmente superano i cinque – nonostante la prossimità all’area turistica del Porto Antico.
Non sappiamo se tale scelta discenda da una volontà politica, da una vocazione assistenziale o da una scaltra strategia commerciale.
Supponiamo, però, che eventuali aumenti, pur non accorciando la coda, la renderebbero tristemente orfana di coloro che, come le piastrelline sbeccate delle pareti, del Gran Ristoro compongono l’anima e senza i quali non diverrebbe allora che un’ordinaria – per quanto fornita – paninoteca.
Opinione
Considerato a buon diritto la mecca del panino, unisce una varietà pressoché infinita di ingredienti di ottima qualità a prezzi contenuti. Luogo storico e amatissimo dai genovesi, da decenni è una sosta obbligata per chiunque passi sotto ai portici di Sottoripa. Negli anni ha accumulato svariati tentativi di emulazione, compreso uno a pochi metri di distanza, ma il Gran Ristoro originale si riconosce per la lunga coda. Un indirizzo da non perdere per assaggiare un estratto verace di vita genovese.
PRO
- Ambiente retrò anni '40
- Panini ottimi e generosamente farciti
- Prezzi contenuti
CONTRO
- Negli orari di punta la coda può essere assai lunga