Cosa ci fa una star della musica italiana in un fast food? Pubblicità, a dire il vero. Il legame che definisce la relazione che intercorre tra Ghali, cantante e rapper italiano, e il McDonald’s Italia è di base commerciale e di lunga durata. La prima volta che mi passò sotto il naso fu uno spot, veramente riuscito, era il 2021.
Ghali era protagonista di una campagna in cui McDonald’s rilanciava uno dei suoi prodotti iconici: il Big Mac. La pubblicità, sparata a reti unificate, mostrava Ghali intento a mangiare il panino e a dire parole incomprensibili. Per finire poi con il pay-off: “lo capisci solo se lo provi”. Il video aveva come colonna sonora una canzone a firma dello stesso Ghali, Wallah, che segue lo stesso refrain dello spot: parole casuali, tra cui ne emerge una assolutamente udibile “Big Mac” e “lo capisci solo se ci provi”. Negli ultimi secondi di video, Ghali è in sella a una motocicletta sgangherata mentre attraversa il deserto. Il suo compagno di viaggio, un uomo mascherato che sembra un amico immaginario, scompare nel nulla. In uno scenario che ricorda i deserti della Tunisia, da cui vengono i genitori di Ghali, si stagliano solo le luci riconoscibili di un imponente McDonald’s.
McDonald’s sceglie Ghali per diversi motivi: popolarità, aderenza a un pubblico giovane, sicuramente anche talento, e un posizionamento trasversale. Anche Ghali infatti accarezza spesso i temi dell’inclusione, sviluppandoli in modalità poco approfondite. Proverbiali i suoi scontri con Matteo Salvini, in cui il tema del razzismo era centrale. Ma lasciamo stare la politica, che rende i personaggi sempre più controversi e divisivi per i loro fan, il 9 novembre del 2022 è comparso sulle pagine dell’artista un nuovo messaggio, in cui la foto di uno scontrino del McDonald’s con l’acquisto di un menu Ghali viene accompagnato da questo testo:
“La vita è assurdaaaaaaa. Ricordo come se fosse ieri quando andavo da Mc Donald’s senza un euro a cercare scontrini per terra e appena trovavo quello giusto andavo in cassa dicendo: “ Mi scusi sto aspettando il mio panino” il cassiere gentilissimo e distratto dal resto della fila mi serviva subito il panino. Lo so che non si dovrebbe fare, ma i soldi non c’erano, io ero ancora un ragazzino e una sera questo fu il metodo per la mia cena romantica con una ragazza. Quando ero ancora più piccolo i miei compagni di classe festeggiavano il compleanno da Mc Donald’s ma io non potevo permettermelo. Il mio amico immaginario Jimmy vedeva tutto e gli avevo promesso che da grande avrei attirato l’attenzione di Mc Donald’s e che avrei introdotto una salsa piccante come l’Harissa. Oggi finalmente potete trovare la Jimmy Hot Sauce in tutti i Mc Donald’s d’Italia assieme al mio menu ahahahhahaa”
Un messaggio apparentemente spontaneo (si noti punteggiatura, spaziature e sintassi molto poco formalizzate) che apre molte più problematiche di quelle che risolve. La parte più complessa è sicuramente quella finale, in cui Ghali scrive: “Questo vuol dire tanto per me, io voglio bene a me stesso da bambino e nella vita vorrei mantenere tutte le promesse che gli ho fatto. Portare cultura in tutto quello che faccio, riscattare il mio passato e trarne vantaggio per me è tutto. Non abbiate paura di esagerare quando sognate, non dimenticatevi i sogni quando vi svegliate e inseguiteli durante tutto il giorno ok!?”.
La Jimmy Hot Sauce, che non è appropriazione culturale
Non è un caso se la salsa promossa da Ghali, la Jimmy Hot Sauce che porta il nome del suo amico immaginario, ricorda spaventosamente l’harissa. Ghali è nato a Milano, nel quartiere Baggio, ma i suoi genitori sono tunisini, Nello stesso mese in cui era in promozione da McDonald’s, dall’altra parte del banco Unesco decideva che la salsa harissa tunisina sarebbe diventata patrimonio immateriale dell’umanità non sono per il prodotto in sé, ma per il complesso sistema di competenze culturali e relazionali che ruotano intorno alla salsa e al suo consumo. Probabilmente chiamarla “harissa” sarebbe stata un’operazione ingiusta di appropriazione culturale, e non sarebbe stato neppure un messaggio chiaro per il pubblico italiano. Sulla confezione quindi, compare una placida scritta “salsa al peperoncino” realizzata con “concentrato di pomodoro, aceto di alcool, peperone, olio di colza, miele, zucchero, sale, amido modificato di mais, aglio, 1,5% di chili, spezie, aroma naturale, addensante e conservante” giusto per essere precisi.
I layer di significato contenuti nel messaggio rilasciato da Ghali sono multipli. Alla base c’è l’intento commerciale “comprate da McDonald’s, qui troverete la mia salsa”. Poi un secondo sottotesto: quello del riscatto, un argomento molto caro al mondo della musica rap, dell’hip-hop e della cultura afrodiscendente. Infine un terzo strato, il meno sottile forse: quello dell’american dream, sognate, osate e fate successo. Il quarto, il più audace, quello che accarezza l’idea che l’operazione sia di tipo culturale.
“Portare cultura in tutto quello che faccio” sarà pure vero per Ghali (non c’è motivo di credere il contrario) ma l’associazione tra cultura e McDonald’s è irricevibile sia per gli strati di significato che abbiamo individuato, sia per le contraddizioni a cui il messaggio si presta. Sono così tante, che con un volo pindarico un po’ troppo ardito viene quasi da pensare: ma non è che Ghali ci trolla tutti, e persino il McDonald’s? Magari con gli stessi soldi della sua collaborazione ci ha comprato la nave ausiliaria della Mediterranea Saving Humans che opera per salvare i migranti che si imbarcano dalle coste africane verso il Mediterraneo. “Questo per me non è un sacrificio, ma un privilegio” aveva detto lui.
Non è la prima volta che un rapper collabora con un fast food, e il fatto che anche Ghali si unisca a una schiera molto numerosa di ambassador della scena rap o rappresentanti della scena musicale afroamericana o afrodiscendente – per citare questo articolo che approfondisce bene il tema, “fare colpo sugli adolescenti, immersi nella cultura street e nell’hip hop” è uno dei motivi commerciali più spinti intorno alla quale si sviluppano queste collaborazioni – rende estremamente meno efficace e personale il suo intervento. Suonano un po’ stanchi quei riferimenti alla povertà e all’infanzia se visti in un’ottica seriale, tanto più che mi è capitato di leggere una dichiarazione in cui Ghali diceva “Da sempre McDonald’s è un posto in cui mi sento a casa. Ci andavo da bambino quando mamma riusciva a portarmi e ancora oggi mi capita di andarci con gli amici” che è contraddittorio rispetto all’idea di un ragazzino che non aveva abbastanza spiccioli in tasca per entrarci in quella casa.
Forse il risvolto più problematico è quello di pensare che “successo” sia uscire da una zona di emarginazione (ma insomma, se guardo la carriera di Ghali mi viene da provare un po’ di sana invidia, anziché compassione. Per dirla un po’ tranchant “se tutto è riscatto, niente è riscatto”) per guadagnarsi un posto d’onore nell’ingranaggio ben oliato del capitalismo e farsene portavoce.
Scomodo la parola “capitalismo” perché l’hanno fatto altri prima di me, sotto i post di Ghali. Ne riporto tre, che sono illuminanti: “Capitalismo, che tanto schifano i rapper nei loro testi, approved”, “Bravo Ghali, dietro un lauto compenso avresti raccontato la sessa storia sul Burger king. Sono le leggi del mercato e tu che ne fai parte devi rispettarle. Ti stimo!”, “bei tempi quando quelli di sinistra schifavano i simboli del capitalismo”. Senza contare tutti quelli che hanno sottolineato che, nel turbine della crisi climatica, promuovere il consumo di massa di carne sia immorale. Ma qui siamo troppo oltre, sembra quasi di sparare sulla Croce Rossa. O su una nave ONG immersa tra le onde del Mediterraneo.