Cracco dice a Repubblica che il km zero ha un limite, “se no a Milano come faremo con il pesce“, e aggiunge che lui la verdura la compra vicino Milano, il vino ce l’ha il Lombardia, anche l’olio, ottimo, sul Garda, ma la carne per i suoi standard non ce l’ha a Milano, la deve prendere in Piemonte.
Fa ancora discutere l’ordinanza di Dario Nardella, sindaco di Firenze: per aprire una nuova attività alimentare o di somministrazione nel centro storico sarà obbligatorio il 70 per cento dei prodotti di filiera corta o del territorio”.
Nardella si è trasformato nel Batman del chilometro zero, per combattere il male oscuro dei take away con gli occhi a mandorla, ma chissà pensando al bene di chi.
Ipotesi #1: i turisti stranieri
Forse dei grupponi in gita, sbarcati dal pullman con la crema solare sul naso. Per loro l’Italia è Italia, il cibo è buono, la differenza tra baccalà mantecato e caponata è solo nel sapore, non in tradizioni geograficamente agli antipodi. No, il turista straniero medio, quello che in una settimana riesce a farsi mezza Europa pungolato da guide dopate, non potrà cogliere la “finezza” della filiera corta fiorentina e si chiederà semplicemente perché qui non si trova la mozzarella.
Ipotesi #2: i fiorentini
Magari il primo cittadino ha pensato a loro, alla loro (presunta) atavica necessità di finocchiona, all’essere autarchicamente rimasti al concetto di Città stato, ai predicozzi di Savonarola che, si dice, fossero anti-kebabbari prima di finire sullo spiedo. No, non ci siamo: non può avere pensato ai fiorentini il buon sindaco Batman, visto che i fiorentini sono in grado di procurarsi la loro dose salvifica di chilometro zero anche da soli, poco fuori dalle mura, o magari in bottega.
#Ipotesi #3: i ristoratori etnici
Forse, che ne so, lo ha fatto per i ristoratori etnici: come la vedete la contaminazione sperimentalmente fusion di creare il primo involtino primavera al cavolo nero e ribollita? Come la prendereste un po’ di pappa al pomodoro al posto della salsa piccante nel kebab? No, non mi torna nemmeno stavolta. Saremo pure a Firenze, ma anche il sindaco sa che obbligare i ristoranti etnici a usare il 70% dei prodotti locali sarebbe come fare il kebab con la schiacciata.
Anche perché, come scrive oggi Pierluigi Battista sul Corriere della Sera: “Le città invece sono belle quando c’è tutto. Quando c’è la trattoria e il ristorante indiano, il pastasciutta e la catena di sashimi…”
Innegabile: che poi è la stessa cosa che da turisti ci piace tanto a Londra o a Berlino. Perché da noi dovrebbe essere diverso?
#Ipotesi #4: i turisti italiani
Allora non c’è che questa spiegazione: il sindaco lo ha fatto per i turisti italiani. Presenti, eccoci: siamo i turisti italiani medi. Piccoli mondi antichi che si guardano quasi in cagnesco uno con l’altro (tutti convinti che la finocchiona del proprio giardino sia più verde), pronti a immolarsi alla causa del prodotto di prossimità, come dicono quelli che non sanno decidere se il chilometro zero li disturbi più nel lessico che metaforicamente.
Siamo noi, viaggiatori autoctoni, alla ricerca costante del prodotto autentico, di quello più verace possibile, di quello che potrebbe aver fatto anche solo 400 metri per arrivare sul piatto. Siamo noi gli unici a fare attenzione alle questioni di forma, alla filiera regionale o provinciale, agli orticelli piccoli come fazzoletti che dovrebbero garantire maggior qualità (ma poi, chi l’ha detto?)
Non sappiamo bene cosa sia passato nella testa del sindaco, ma se la proporzione fosse stata al contrario (30% di prodotto locale obbligatorio) credo che la notizia sarebbe stata più digeribile, oltre che condivisibile. La proporzione, in questo caso, sembra essere studiata per segare le gambe a qualche proposta etnica di troppo, il che ci catapulta istantaneamente in epoca oscurantista, innalzando le bandiere punteggiate della finocchiona.
Ma non avevamo deciso che era tempo di finirla con certi leghismi d’accatto tipo: tutto ciò che è di casa nostra è buono, tutto quello che viene da fuori è male? Da una parte desideriamo l’autarchia regionale, appunto, il chilometro zero, dall’altra sappiamo che è necessario esportare.
Ma non avevamo deciso pure che il km. zero è solo una scusa per alzare i prezzi dei ristoranti?
E a farlo non era stato uno chef giovane ma con molto sale in zucca?
«Con questa storia del chilometro zero i ristoratori hanno abbattuto i costi di acquisto delle materie prime e hanno alzato i prezzi dei menu. Riescono a farti pagare più di 40 euro un’insalata solo perché è stata raccolta nell’orto del ristorante. Cose da pazzi.
E però qui siamo nella patria di Machiavelli, dove il fine giustifica i mezzi. Dove l’imposizione del prodotto a filiera corta salverà le sorti della cucina toscana.
Infine: pensiamo a cose pratiche. Quale sarà il grado di noia, per un fiorentino del centro storico che, 7 volte su 10, dovrà sorbirsi l’arcinoto e arcidigerito menu a chilometro zero?
Fiorentini, vi siamo vicini.
[Crediti | Link: Repubblica, Dissapore, Corriere, Il Foglio]