Perché a Milano i ristoranti di cucina straniera non sono tutti così? Non che Maison Touareg, “primo bistrot marocchino di Milano” per auto-definizione, sia un posto perfetto, qualsiasi cosa sia la perfezione. Ma ha il dono del vero, dell’umano. Oltre l’ottima cucina, la carta vincente è la sua storia che diventa la sua sostanza. Quello che manca a quasi tutti gli altri. Si potrebbe dire autentico e tradizionale, se non fossero queste immagini svuotate e rese inerti proprio da quei quasi tutti gli altri che ne abusano a sproposito.
Vanno bene i concept studiati a tavolino, la “catenificazione”, gli uffici stampa, l’innovazione! Che poi spesso il tutto casca di schiena quando vai a guardare gli esiti. Vanno bene gli etnici contaminati, che il più delle volte significa annacquati, che vai più sul sicuro con i sapori generici e seguendo il gusto medio.
Qui però va in scena un’altra storia. Il padrone di casa cucina con la moglie, quando questa può, visti i tre figli piccoli, e qualche ragazzo assunto da poco, dato che che all’inizio non ce n’era bisogno. Non è stato sempre il tutto-esaurito, la partenza è stata faticosa. Hanno ristrutturato tutto da soli, la cucina è piccola, il tajine (cottura lenta nel caratteristico tegame di terracotta con coperchio a cono, quintessenza della cucina marocchina) lo fanno sul fornello a gas, perchè sì tradizionalmente sarebbe sulla brace, ma a casa si fa sul fornello. Lo so perchè l’ho visto, invitato a pranzo da due sconosciuti per i vicoli della medina di Fez, (l’ospitalità marocchina… e vai di clichè). La cucina un fondo cieco di corridoio, un fornello portatile a terra, dal lato opposto una finestra senza vetri come in un quadro metafisico, sconfessato dall’umanità brulicante dei vicoli sottostanti. E un tajine kofta con polpettine e l’uovo rotto sopra divino e indimenticabile. E allora poco importa se la fiammella pilota del fornello a gas di Maison Touareg, proprio come in una vecchia casa nella medina di Fez, bruciacchia un po’ un lato del tegame, rendendo resina scura parte della salsa di prugne e mandorle tostate del tajine barcock con carne di vitello. L’aspetto finale sarebbe potuto essere più ricco e opulento, la salsa meno rappresa. Poco importa perchè il vitello è cotto ad arte, la dolcezza languida della prugna e delle cannella esaltata da un velo prezioso di zafferano.
Si arriva dal centro attraverso una strada dritta e monotona, segnata solo dal graduale impoverirsi del contesto urbano. Periferia così generica ma così immediatamente riconoscibile come solo quella di Milano sa essere. Maison Touareg è una piccola vetrina che sussurra timidamente “non notarmi”. Tutto rientrerebbe nel cliché stantio del ristorantino-chicca-nascosta, se non fosse che questo ha la colpa di esserlo davvero.
I quadri dell’unica piccola sala glieli ha regalati Selvaggia Lucarelli, una degli avventori pionieri. Tra le mura dei palazzi circostanti si fa spazio un cortiletto addobbato con grazia e ricco di atmosfera. In fondo a questo, nel chiaroscuro serale che dona una prospettiva pittorica e molto suggestiva, un sottoscala adibito con pochi tocchi ad angolo del tè.
Al posto del bianco, assente in carta, seguite il consiglio del padrone di casa e andate di vin gris (vino grigio), specialità marocchina che prevede la macerazione del vino con le bucce d’uva, che dona al tutto un colore freddo rosa-grigio. Le preparazioni sono lunghe, laboriose, e alla crema di melanzana affumicata sottende un lavoro meticoloso, affinché i frammenti della buccia bruciata non contaminino la polpa. L’affumicatura deve aleggiare vaga come un ricordo lontano.
Le frittelle di patate sono una fuga dissonante e concitata di aromi, lo scalpitio pungente dello zenzero domina sulla cannella e la curcuma che ne ne fanno da rassicurante sottofondo. La frittura è magistrale, fragranza dorata che racchiude un ripieno spumoso. Sebbene servito su un piatto da portata convenzionale, anche l’agnello m’rozia è una declinazione del tajine, nello specifico in salsa dolce con miele, mandorle e uvetta. Cottura lentissima, la carne perde i sentori selvatici; la cannella, lo zafferano, l’infinita e magica complessità del mix di spezie ras-el-hanout fanno il resto. Il tiramisù al tè alla menta con crumble di cannella e mandorle tostate, con cialda croccante, è la migliore versione “rivisitata” di questo grande classico che abbia mai incontrato.
Dunque anche Milano sa esprimere quando vuole il lato gastronomico vero e sincero delle culture del mondo che si fregia di rappresentare in abbondanza. Magari in un vialone di periferia, in qualche quartiere svantaggiato, lontano dai luoghi dove qualcuno, sicuramente, in questo preciso momento, è impegnato a definire con i consulenti e gli addetti stampa gli ultimi dettagli del prossimo place to be milanese.
Opinione
Non si può non stare bene da Maison Touareg, a meno che non abbiate qualche inconfessabile avversione per la cannella. Cucina onesta ma realizzata con grande perizia, in un contesto gentile e ricco di grazia. Nell’ambito cittadino, sperimentazioni, contaminazioni, innovazione nella cucina straniera dovrebbero essere sovrastrutture ulteriori che poggiano su una base consolidata di posti come questo.
PRO
- Cucina casalinga nella sua accezione migliore.
- Ricette classiche eseguite con amore e perizia.
- Ambiente particolarmente confortevole.
CONTRO
- Il menu e’ una selezione abbastanza stringata della gastronomia marocchina.