«Dopo qualche tempo di riflessioni e attente valutazioni, ho pensato che i tempi fossero maturi per portare la proposta gastronomica a tre Menu Degustazione, eliminando dal prossimo 22 Agosto la scelta à la carte, da sempre presente nel nostro ristorante.” Firmato, Enrico Crippa, chef di Piazza Duomo, Alba.
Bravo Crippa, e che molti altri ti prendano ad esempio. Fosse per me i menu alla carta sarebbero un ricordo del passato insieme ai fili di porro fritto per decorazione, ma fortunatamente non decido io.
Prima che vi lanciate in strenue difese e copiosi insulti, mi riferisco ovviamente al cosiddetto alla fine dining, e nemmeno tutto, solo a quelle che definirei cucina d’autore contemporanea.
Cucine in cui le idee dei piatti nascono da ispirazioni che esulano totalmente dalla classica struttura del menu all’italiana, che parlano di materie prime, di design, di tecniche. E devo ammettere che quello di Enrico Crippa è un esempio particolarmente calzante per la mia esperienza: verso la fine di un degustazione fulminante a Piazza Duomo, arriva un piccione con salsa al foie gras buono ma senza pathos, accompagnato da una composizione di cavoli che poteva tranquillamente essere il piatto di per sé.
Perché proporre un passaggio così fuori posto? Semplice: Il problema siete voi, che pretendete per forza “un secondo” quando lo smilzo chef langarolo avrebbe tranquillamente potuto proseguire all’infinito con le cangianti, vivide sfumature della sua cucina quasi-vegetale. Meno male che ha deciso di affrancarsi da tutto ciò, con buona pace dei clienti affezionati all’ordinazione alla carta.
Chi ordina, ancora, alla carta? Chi conosce a menadito la cucina dello chef e vuole concentrarsi su determinati piatti – persone che in parte giustifico – e ricchi sfondati che certi ristoranti li frequentano solo perché se lo possono permettere.
(Sì lo so, Crippa ha modi e argomentazioni molto più pacati dei miei per spiegare la sua scelta, ma quando mi ricapita che un tristellato mi serva così a gratis un supporto alle mie farneticazioni?)
Un menu degustazione progettato come si deve è un percorso studiato nella sequenza, nelle porzioni, nei tempi o nella totale assenza di tutto questo, vedi quel ragazzaccio di Alberto Gipponi (ristorante Dina a Gussago, ndr.) che lo apre con carboidrati e lo chiude con molluschi per dessert, perché “un piatto buono è buono in qualsiasi punto del menu”.
Anzi, a volte il suo degustazione lo propone direttamente all’incontrario: in questo caso partirebbe con le cozze e finirebbe col casoncello. Un po’ come Davide Scabin ai tempi del percorso Up and Down, stesso menu ma ordine inverso. Come al solito talmente avanti che i dibattiti li crea e li risolve da solo qualche anno prima che il resto dell’intellighenzia gastronomica cominci a lanciarsi stracci.
Chi ci mette architettura, chi provocazione, l’importante è che il degustazione sia espressione pura, incontaminata, delle idee di chi cucina.
Io poi quelli che pretendono sempre una scelta alla carta proprio non li capisco. Ma si può mai andare, per esempio, fino a Telese Terme, al Kresios di Giuseppe Iannotti e pretendere di mangiare antipasto, 80gr di carboidrato, secondo e dolce? Fortunatamente la risposta a questa domanda è no, perché il genio del Sannio, col suo consueto slancio avanguardista, già da un po’ propone esclusivamente percorsi a degustazione, come ci si aspetta da uno uscito da un’esperienza all’Alinea di Grant Achatz.
Di una cosa però i reazionari possono stare tranquilli: la libertà di avere un ristorante senza menu alla carta ce la si deve guadagnare, e chi decide è il mercato. A Piazza Duomo “questa scelta deriva da lunghi periodi di osservazione del nostro lavoro e di come i consumi dei nostri Ospiti nel corso del tempo si siano sostanzialmente modificati, orientandosi sempre di più alla scelta di farsi guidare alla scoperta della nostra proposta gastronomica tramite i Menu Degustazione sin qui proposti, limitando a una percentuale ormai bassissima la scelta dei piatti à la carte”. Crippa se lo può permettere, ma magari un giovanotto artistoide un po’ troppo ambizioso si dovrà scontrare con una realtà diversa. E allora il degustazione può essere sfruttato come spunto di marketing, come l’astuto Luca Natalini fa nel suo fiammante Autem con tre menu d’avvicinamento a prezzo calmierato, per poi irretire chi ritorna col più spericolato “mano libera”.
Per me è una lotta di civiltà. Nelle stragrande maggioranza delle mie esperienze all’estero, al momento della prenotazione veniva richiesta carta di credito e la segnalazione di eventuali intolleranze, perché o tasting menu o niente. Io uno che paga il biglietto per andare al cinema e in sala pretende un riassunto del film non l’ho mai visto, perché deve essere normale poterlo fare là dove si va per assistere a uno spettacolo culinario?
[Immagine di copertina: Lido Vannucchi per Piazza Duomo]