Era il 2017 e Torino accoglieva un progetto nuovo, per la città ma non soltanto: Edit (acronimo di Eat, Drink, Innovate, Togheter) apriva i battenti in un quartiere non facile della città (Barriera di Milano) e in uno spazio gigantesco (quello degli stabilimenti Ex Incet). Un’idea visionaria, in effetti, nata dalla mente di Marco Brignone, imprenditore del mondo finanziario mancato due anni fa dopo aver messo su questa faraonica struttura e aver tentato una rinascita dei Murazzi, il lungo Po torinese a lungo teatro della movida cittadina.
Edit non ha sempre avuto vita facile, e questa non è una novità per una città come Torino, che spesso non riesce ad accogliere le novità con il giusto entusiasmo, soprattutto quando escono dagli schemi. Lo spazio, grandissimo (2400 metri quadrati totali), raccoglieva un po’ di tutto, riqualificando (in collaborazione con il Comune di Torino) i due piani di una struttura che fino ad allora era abbandonata. C’era un Bakery Cafè all’americana; un Brew pub pensato come un birrificio “condiviso” che desse asilo alle piccole realtà artigianali, abituate a una produzione “gipsy” (e cioè itinerante); un cocktail bar moderno ed elegante; un bel cortile all’aperto; delle cucine condivise; dei loft di lusso e un ristorante gourmet, inizialmente affidato ai Costardi Bros (ora stabilmente da ScatTo).
Non tutto funzionò immediatamente e, dopo un primo momento di entusiasmo, i limiti di un progetto sicuramente non facile apparvero chiari. Il tutto, in una città che non perdona gli errori, e che tende a etichettare i luoghi in maniera piuttosto definitiva, cambiando raramente idea. Così – fatta eccezione per la produzione brassicola, che ha sempre viaggiato molto bene – Edit a un certo punto si guadagnò la fama di un posto che non funzionava, che era poco frequentato, che non aveva avuto successo. Certo, gli avvicendamenti interni ci misero del loro: le cucine condivise non partirono mai nel modo in cui erano state immaginate, e il ristorante e il cocktail bar, dopo il primo cambio chef, rimasero un po’ chiusi, o affidati ad eventi privati.
La rinascita di Edit
La verità, comunque, è che Edit è sempre stato un bel progetto. Un bello spazio, che comunque al pubblico è sempre piaciuto. Difficile trovarlo vuoto, nonostante la metratura che di certo implica molti sforzi per essere riempita. E il cortile semi coperto, in primavera, è sempre stato un luogo molto bello dove bere una birra. Insomma, Edit ha avuto una strada forse un po’ lunga e tortuosa, ma alla fine sembra avercela fatta molto meglio di quanto non si pensi, o di quanto non pensino i Torinesi. Soprattutto ora, con l’inaugurazione di una nuova formula di ristorazione che sembra perfetta per il luogo, più pop e informale delle precedenti, più divertente e pensata “para compartir”, così come era nell’idea di Marco Brignone (anche prima che Condividere la portasse alla sua massima popolarità torinese).
La nuova e convincente scommessa del ristorante di Edit si chiama Emiliano Decima, ed è uno chef argentino specializzato in cucina sudamericana e latina in generale. Tapas, tacos, ceviche, picanha, churros, cose così, gustose, saporite, che puntano sul conforto dell’umami in particolare quando si incontrano con il Giappone, come avviene per lo Yakitori o per i pan bao. Il tutto può essere accompagnato da qualche vino (anche qui, opzioni pop e divertenti, alternate a qualche scelta più ricercata) o dalla birra (ovviamente), o ancora dai cocktail firmati da un fuoriclasse della città come Samuel Donninacuo, da sempre punto di riferimento del bar del locale.
Ma, al di là della qualità della nuova proposta di Edit, il fatto è che questo spazio sembra aver finalmente trovato la sua destinazione d’uso. Niente ambizioni stellate, ma una formula semplice, divertente, godibile, gastronomicamente facile e gustosa. Si mangia al tavolo o alla barra (il che, forse, doveva già rendere chiaro fin da principio che questo luogo era fatto per richiamare le atmosfere latine), affacciati sulla grande cucina a vista che nel frattempo arrostisce, spadella, impiatta, facendo aumentare la salivazione di chi è seduto in attesa del suo piatto. E, in sostanza, ci si diverte. Come si voleva che fosse fin dall’inizio, d’altra parte.