La gastronomia bene segue la The World’s 50 Best Restaurants con l’ardore che si dedica ai mondiali, gli chef più patinati del mondo, PR e giornalisti al seguito, intenti a sciorinare quanti ristoranti italiani e non siano entrati nella “classifica dei 50”, laddove l’evento fuori dalla bolla totalizza probabilmente meno tifosi del cheese rolling, tradizione britannica peraltro curiosissima che consiste nell’inseguire una forma di formaggio rotolante per la collina.
Anche oggi, tuttavia, non dedicheremo un articolo al cheese rolling. Perché si dà il caso che la 50 best, forse velleitaria nello stilare la lista dei migliori ristoranti del mondo, ma capacissima di spostare umori, sponsor, soldi e dare la misura delle pubbliche relazioni gastronomiche di ogni Paese, il prossimo anno si svolga a Torino. Per fortissima volontà di Alberto Cirio, presidente della Regione Piemonte appena rieletto in carrozza.
Il caso Ferrua ha messo a rischio la 50 best torinese
Nonostante fino a pochi giorni fa mancasse la firma, attesa da ben 11 mesi, tra William Reed, l’ organizzatore del classificone-evento e Visit Piemonte, l’ente turistico regionale naturalmente delegato alla promozione ad hoc, la cui dirigenza è indagata per corruzione e turbata libertà di scelta del contraente – in altre parole, il fritto misto gate, quello che ha convolto anche l’ex direttore de Il Gusto Luca Ferrua. Tra i due soggetti, fino a venerdì 30 maggio, c’era solo una lettera di intenti: un contratto nel limbo perché “nessuno“, ci suggeriscono fonti interne a Visit Piemonte “voleva prendersi la responsabilità di firmare dopo lo scandalo Ferrua“. D’altronde si parla di un contratto da due milioni di euro circa: fondi elargiti dalla Regione che saranno gestiti dalla partecipata del turismo piemontese per la The World’s 50 Best Restaurants 2025. Non un buon inizio.
Così la firma è arrivata, a una settimana dalla classifica 2024 appena proclamata a Las Vegas, tra i sudori freddi di chi nell’edizione torinese nutre più interessi.
Primo tra tutti il rieletto Alberto Cirio, che per la 50 Best a Torino si è esposto anzitempo. La notizia, pubblicata da pochi di quest’anno, passò in sordina (prova provata dello scarso interesse nazional popolare nei confronti dell’evento) e fu addirittura anticipata da un annuncio sui lavori in corso nel lontano 2022, durante la presentazione della Fiera del Tartufo albese.
Un’anticipazione ampiamente ignorata. E per fortuna, viene da aggiungere, dacché il governatore non aveva fatto i conti con l’oste, come si dice. O come invece preferisce dire Federico Ceretto, membro del comitato promotore della The World’s 50 Best Restaurants a Torino che abbiamo raggiunto telefonicamente: “Ha capito perfettamente che la macchina burocratica è più lenta di chi effettivamente vuole realizzare un progetto”. E in questo caso, commenta l’imprenditore vitivinicolo, anche proprietario del ristorante 3 stelle Michelin Piazza Duomo di Alba (l’unico fine dining italiano ad avere preso posizioni quest’anno, per la cronaca), “lanciare il sasso è stata la miglior cosa, perché poi non si può tornare indietro”.
I meriti di Cirio, nonostante la sua Regione
Il dietro le quinte descritto da Ceretto è cristallino: tra le tante candidature avanzate dall’Italia per ospitare la 50 best, nessuno si era seriamente applicato fino alla piena disponibilità di Cirio. Torino è così riuscito ad esprimere una candidatura credibile, complice la “macchina oliata” con le ATP Finals e l’Eurovision.
Così l’imprenditore ha ricevuto il mandato, dal presidente di Regione, di mettere in piedi il comitato promotore della manifestazione: “Il mio ruolo è quello di spingere il vino, dal momento che Cirio ha voluto quello piemontese come global sponsor della 50 best. Poi c’è Massimo Bottura (fuori dai giochi in quanto già vincitore della classifica, e quindi nella “hall of fame”, ma al contempo appena premiato dalla stessa 50 best come miglior struttura alberghiera del mondo, ndr.) nel ruolo di comunicatore e grimaldello, certo capace di smuovere gli alti ranghi della gastronomia, e Roberta Garibaldi, volto più istituzionale nonché team leader di cui abbiamo bisogno“. Un quadro che si ascrive al vero ruolo della 50 best, stando a Ceretto: “Condurre i 1000 invitati dell’evento alla scoperta della cultura italiana, la gastronomia come mezzo”.
Insomma, non solo un modo per spostare posizioni in una classifica fatta per pochi.
Federico Ceretto non nasconde una certa diffidenza nei confronti della burocrazia, individuando nella “pubblica amministrazione un ostacolo grave”. E aggiunge che la stessa 50 Best, attraverso la sua società organizzatrice William Reed, predilige gli sponsor privati ai fondi pubblici. “La regione”, assicura, “fa da garante per costi che gli sponsor andranno ad erodere”.
Ci siamo risparmiati una figuraccia all’italiana, viene da dire. E il dubbio che fosse nell’aria lo avevamo avanzato un mese fa, ai tempi del fritto misto gate. “Uno scandalino“, commenta Ceretto, “che però rischiava di mettere in gioco la reputazione mia e di altri. Un conto è dire che è colpa della è della burocrazia italiana, un conto è ammettere di non avere più i poteri per firmare il contratto“.
Scandalino, per così dire, scoppiato agli sgoccioli del sopracitato accordo. E poco tempo, peraltro, da uno scandalo ben maggiore, quello relativo alla Ministra del Turismo Daniela Santanché. Non una grande rassicurazione verso l’estero e la britannica Fifty. Ministro che, ammette l’imprenditore albese, “non può essere attualmente un riferimento“.
Non mi domanderei tanto, a conti fatti, quanto Torino sarà in grado di gestire l’Oscar dell’alta cucina: sono certa che nel ridicolo parallelismo tra la capitale sabauda e Las Vegas la cittadina piemontese possa fare la sua grande figura, tra grandi ristoranti e spazi già rodati per gli eventi internazionali più estemporanei, con i bonus di una storicità e di una gastronomia che sorprenderanno i più. Mi domando invece perché, tutto sommato, in questo quadro la macchina pubblica debba uscirne così bistrattata (con un Presidente di regione così in gamba, poi), coinvolta solo e non più dell’utile, in quella che di fatto pare, citando un scrittore grande piemontese, “Una questione privata”.