Uno scorcio inaspettatamente gentile prende forma tra i palazzi anonimi della prima periferia, che avanza brutale e sempre troppo rapida a ridosso della circonvallazione esterna. Un piccolo slargo, una mini oasi quasi senza traffico su cui si affaccia una manciata di locali graziosi e accoglienti, con altrettanto grazioso dehors esterno nella bella stagione. Tra questi Dawali, ristorante libanese di Milano.
D’estate è da preferire un tavolo all’esterno, al riparo del trambusto affollato e felice che domina l’unica sala interna. Questa si presenta né particolarmente accattivante nel design né particolarmente sobria: rosso, nero e grigio a blocchi di colore, le luci alte renderebbero l’ambiente freddo, se non fosse per l’atmosfera allegra e leggera che alla fine ha la meglio.
A volte detta cucina araba con un tocco francese, a causa della “contaminazione di ritorno”, quella libanese è, con quella ebraica, la quintessenza della cucina della diaspora. Dalla Francia il gusto per l’agnello e l’uso del limone per condire, dall’America le grandi e lascive grigliate. E tuttavia, è allo stesso tempo la più pura e completa cucina araba, la più rappresentativa e forse la migliore espressione del medio oriente gastronomico.
Il menu, i prezzi, la cucina
È irrealistico aspettarsi di trovare nei ristoranti in occidente la strepitosa varietà e ingegnosità delle preparazioni, delle conserve, delle spezie che popolano i mercati di Beirut. In occidente, la proposta è sempre a qualche livello semplificata, tanto da potersi dire che, a parte le insalate fresche e i dolci, un tipico menu libanese è diviso di base in due blocchi: le mezzeh, piattini da condivisione stile tapas, fredde, calde o a base di frittura. E i secondi di carne, per lo più alla griglia, per lo più agnello e pollo. Dawali offre una rappresentazione onesta, e in qualche caso eccellente, di questo generale panorama.
Qualsiasi siano, i segreti dell’hummus da manuale qui sono di casa (5,20 euro). Crema di ceci sorretta in un’emulsione spumosa di limone e burro di sesamo, in bocca la consistenza della panna montata, il gusto equilibrato sebbene forse poco deciso. Ma si sa, giocare in difesa con l’aglio è peccato veniale.
E poi il labneh (6,20 euro), declinazione mediorientale di quelle molteplici vie di mezzo che emergono quando si confondono i confini tra yogurt, burro e formaggio. Nello specifico, si tratta di un formaggio derivante dal filtraggio dello yogurt, una cosa casalinga di cui ogni famiglia ha una ricetta segreta. Non so quale questa sia in casa Dawali, ma il risultato è ottimo e ulteriormente ravvivato da una vampata di menta fresca.
La pita d’accompagno (il pane arabo) tuttavia è assai generico e senza lode, sembra aver goduto del riposo del cestello un po’ troppo a lungo. Meglio ordinare una doppia porzione della focaccia manakish (5,20 euro), quella classica, condita con lo zaatar. Un battuto di timo, sesamo e sommaco che come tocca la superficie di un pane caldo è come se la tenda di velluto si aprisse sui vicoli di Gerusalemme o tra i palazzi sgretolati di Beirut, con sui carretti ambulanti focaccia condita ancora fumante.
I falafel (7,25 euro), polpette di ceci e cumino, vivono di una magia precaria. La consistenza perfetta è in equilibrio sulla cuspide di un pendio rovinoso, da una parte del quale c’è il secco e rinsecchito, dall’altra il mezzo crudo o unto. Si fanno friggendo i ceci crudi, ammollati e poi frullati, il tutto farcito di spezie ed erbe e fritto rapidamente. Questa magia è centrata alla perfezione dallo chef: frittura crostosa e fragrante che rivela un interno cremoso ed erbaceo al contempo, denso di aroma e deciso nel gusto.
Il kibbeh (7,25 euro), polpette fritte di carne macinata, conferma l’evidente maestria nella frittura di cui si fregia la cucina. Gocce gonfie come piccole mongolfiere pronte a levarsi, dal colore tra ebano e caramello, che sprigionano alla rottura una nuvola umida e invisibile carica della fragranza della cannella e della altre spezie. Eccezionali. Se le nostre costine di agnello (15,5 euro) sono indicative della generale qualità della carne nei secondi, beh allora sbizzarritevi e ordinate con lascivia e oblio. Lussuriose, saporitissime, burrose, cottura impeccabile.
Di onesta fattura i warak, involtini di foglia di vite ripieni di riso, cipolla e spezie (7,25 euro). Un po’ smunti e flosci, che quando invece sono paffuti e rigogliosi come dovrebbero, hai la sensazione di addentare direttamente tutto il verde della natura. Caserecci e senza pretese l’harra (5,20 euro), semplicissimo stufato di peperoni in umido e la mujadara (5,20 euro), riso e lenticchie con spezie. Al loro posto, suggerisco il foul (5,20 euro), una varietà libanese di fava condita con cumino e limone.
Ai i non astemi: cogliete l’occasione di farvi servire del vino libanese, senza pregiudizi. Il paese ha una storia e una tradizione vinicola importante, seppur poco nota ai più.
Informazioni
Dawali
Via Corrado II il Salico, 10, 20141 Milano MI
Telefono: 02 8489 5668
Aperto tutti i giorni pranzo e cena. Sabato solo a cena. Chiuso la domenica.
Sito web: dawali.it
Tipo di cucina: libanese
Ambiente: spartano, accogliente
Servizio: molto amichevole e informale.