Siamo stati nel ristorante di chef Gianluca Gorini, DaGorini a San Piero in Bagno. La nostra recensione.
Nel tempo ho sviluppato uno strano rapporto conflittuale con le storie professionali dei cuochi che vado a visitare. Da un lato conoscere il loro percorso aiuta ad entrare in una sintonia più profonda con la loro cucina: vengono dalla rivoluzione spagnola? Sono di scuola francese? Oppure sono usciti dal Nordic Food Lab e fermentano muschi e licheni; o magari lo chef in questione proprio un nume tutelare, viene salutato dalla critica come l’erede di questo o quel fenomeno, di cui ha frequentato le cucine per un tempo variabile dalle due settimane a qualche anno.
Più spesso si tende alle due settimane ma si sa, è un’esca troppo golosa per non cascarci. In questo caso specifico, chi vive questo status ha due opzioni: abbracciare il suo ruolo di “figlio di” e farci una carriera, oppure cercare più pervicacemente di altri la propria strada.
L’esercizio del riconoscere influenze, citazioni, tecniche, idee è utile e solletica l’ego del gourmet militante, ma di certo inibisce la sorpresa, l’esperienza della scoperta. Spesso mi capita di avere innamoramenti più intensi per gli autodidatti, con la loro totale mancanza di appigli a cui aggrapparmi, e quella passione sregolata che mi fa perdonare ogni errore.
Ecco, mi trovo di fronte a un caso in cui non posso che fare un’eccezione. Siamo a casa di Gianluca Gorini, da più presentato come il pupillo di Paolo Lopriore, e io sono pronto a contravvenire ad ogni mio dogma o schema di pensiero pur di percepire anche solo una stilla del genio del Marchesi boy comasco. E che strada sceglie di intraprendere Gorini, per gestire il rapporto col venerato maestro?
La cucina di Gianluca Gorini: il gusto pieno della vita
Sceglie quella giusta: una terza, una sua. Crea un suo stile e punteggia il percorso con giusto qualche rimando, percepibile solo ai fan. E costruendo una cucina la più lontana possibile da quelle che potrebbe facilmente arruffianarsi la clientela in una terra di tradizioni e osterie romagnole come la Valle del Savio, optando per il gusto più bistrattato ma più adulto, più complesso. L’amaro, di cui Gianluca è un interprete raffinatissimo e torrenziale.
Il menu degustazione
Seppia sporca e rosolacce alla brace, aneto, salicornia e limone
Inizio col botto. La brace lambisce appena la seppia, lasciandola nella sua consistenza da cruda, croccante e fondente, non serve rosolatura a dare spunto e colore, c’è il nero. Piuttosto dona al piatto un ancestrale aroma di brace, che insieme al mix di erbe terragne e marine dà al tutto una coinvolgente ambientazione selvatica.
E poi sollevi una foglia. Il limone è lì. In secondo piano, nascosto. Candido, cromaticamente sopraffatto dall’inchiostro, vibra sul palato quando meno te l’aspetti, acido e amaro come dovrebbe essere. Per chi è stato folgorato sulla strada della Certosa di Maggiano, è un momento da brividi.
Asparago alla brace, salsa di acciughe e liquirizia, caprino
Ovvero, l’amaro vero ma (non) leggero. Si prosegue sul tema, il rapporto tra amaro e umami, e l’impiego della brace, questa volta usata all’opposto. L’asparago poteva essere servito anche più crudo e croccante, ma il bruciacchiato, l’amarognolo misto a sapidità, doveva essere ben pronunciato, per risuonare nella salsa. Una composizione perfetta nel suo non offrire sponde piacione, nemmeno dal caprino che, pur dando rotondità al boccone, lo complica ulteriormente avendone scelto uno particolarmente ricco in note ossidative.
Ravioli di fave, brodo di pecora, pecorino
Oh, finalmente un raviolo. Roba semplice, fave e pecorino. Dolce e salato, si va sempre sul sicuro. Appunto, a questa tavola non si va MAI sul sicuro. Non è la dolcezza la parte del legume che viene messa in evidenza ma la parte verde, erbacea (utilizzandone anche i baccelli, ipotizzo). La sovrapposizione di toni ovini crea un contrasto tanto animalesco quanto pulito, evitando accuratamente concentrazioni eccessive o note arrostite, golose ma superflue in questo caso, punteggiando il tutto con millimetriche occhiature di grasso. Tutta roba da intellettuali ma poi si afferra il tegamino per le maniglie e gli si fa onore sorbendo il tutto direttamente dalla pentola.
Cervo arrostito alla liquirizia, fragole al bitter, rapa rossa e radicchio marinato
“Se la pioggia fosse Bitter..” ricordate? E’ un problema che sto riscontrando sempre più spesso: la parte vegetale, il contorno per dirla in termini poco lusinghieri, è di per sé una composizione talmente precisa, ricercata e articolata da risultare la parte più interessante del piatto rispetto alla proteina. E questo è uno di quei casi. Fosse stato manzo, astice, una tartare di pecora, il piatto funzionerebbe comunque. Gustativamente non c’è niente che non vada, concettualmente manca una netta definizione del soggetto. Pensateci, se vi avessero proposto “Fragole al bitter, rapa rossa e radicchio marinato”, non l’avreste trovato un piatto finito, e che piatto?
Piccione scottato alla brace, estratto di alloro, cipolla al cartoccio e salsa di cipolla
Ah, l’alloro, altra cortese citazione. Ma da questo piatto c’è una cosa da imparare. Se quando vi servono il piccione il filettino è staccato dal petto e servito a parte, sapete già che chi ve lo serve è un amante di questo ingrediente, e saprete che a ogni parte della composizione verrà dedicata la giusta tecnica. Fidatevi, funziona. Guardate qui, c’è pure lo spiedino extra di interiora (con polvere di limone, paprika e alloro). Visto cosa succede quando il soggetto è chiaro e a fuoco?
Spaghetto burro, genziana, caciotta di capra, bergamotto candito
Dipinsi l’anima su tela anonima. Lo volevo quasi saltare questo piatto, perché non volevo spoilerare la sorpresa. Ma la mia missione è contestualizzare le scelte più ardite della cucina d’autore e quando mi ricapita una inception di citazioni come questa?
Il carboidrato a fine pasto. L’idea è quella di spostare paste e risotti dopo i secondi, in modo da affrontare i piatti più impegnativi essendo meno appesantiti.
A ben guardare ha senso, e la provocazione fu lanciata per primo da Gualtiero Marchesi, di cui Lopriore era tra gli allievi prediletti. E anche lui alla mia prima volta alla Certosa concluse la parte salata del percorso con dei tagliolini verdi in acqua di mare, sorta di zaru soba già inzuppata. E Gianluca dà seguito a questa ricerca a modo suo. Pasta croccantissima -a fine percorso una pasta più cotta avrebbe riempito il palato di amidi affaticando l’assaggio-, e la quantità di burro necessario a veicolare la genziana, col suo amaro erbaceo, tonico: ha sia la funzione di arrotondare la sapidità della caciotta di pecora (è pur sempre uno spaghetto al burro, no? Un’informaggiata ci vuole), che di creare una sorta di effetto gin spaghettonic che, guarda caso, va concluso con la nota agrumata del bergamotto.
Si chiude il cerchio dell’amaro, sia del piatto che di tutto il percorso, e si fa una decisa dichiarazione di intenti, affermando con forza la propria identità raccontando tre generazioni di cucina italiana. Palato, intelligenza, tecnica e storia: un carico di significati davvero impegnativo per uno spaghettino defaticante.
E’ con questa nota che voglio chiudere il racconto. Non perché i dolci non siano all’altezza, anzi. Sono coerenti col percorso, ovviamente contrastati da note amare, radicali nel caso del Vermut 721 nel semifreddo al raviggiolo o agrumate come nel Mandarino tardivo ripieno al mandarino e punch al mandarino. Ma è stato questo spaghetto che ha dimostrato a tutti le potenzialità della mentalità ostinata e contraria della cucina di Gianluca Gorini, su così tanti livelli che è quasi impossibile coglierli tutti.
I prezzi di DaGorini
La “degustazione a mano libera” di DaGorini (9 portate a 95€, 45€ per l’abbinamento “non solo vini” a cura di Mauro Donatiello) è una scuola necessaria per chiunque voglia far evolvere il proprio palato dalla fase dolce-salato a quella amaro-acido, un rito di passaggio di cui spesso non ci si rende conto ma che segna l’inizio dell’adolescenza gourmet e l’inizio della gola adulta.
Informazioni
Ristorante DaGorini
Numero di telefono: 0543 190 8056
Indirizzo: Via Giuseppe Verdi 5, San Piero in Bagno, Bagno di Romagna (FC)
Orari di apertura: tutti i giorni a pranzo e a cena; chiuso il martedì e il mercoledì a pranzo
Sito Web: www.dagorini.it
Tipo di cucina: creativa, fine dining
Voto: 3.5 / 5