Non c’è certo bisogno che vi racconti io i dettagli del nuovo ristorante Cracco varato in queste ore in Galleria, di fronte al Duomo di Milano: altri su Dissapore lo faranno certo meglio di me.
Quella che voglio fare io è una piccola riflessione in diretta, proprio mentre Fabio Fazio passa la parola allo chef e al sindaco Sala e tutti si contendono un selfie con Lapo Elkann.
[Il ristorante di Cracco in Galleria]
La cosa che trovo grande e coraggiosa e molto ambiziosa di questo progetto è quella di guardare non solo alla fama istantanea (certo: la redditività a breve è importante) ma anche a un futuro potenzialmente molto lontano.
Il nostro paese è famoso per i caffè e i ristoranti storici, quelli che ci portiamo dietro da secoli.
Penso a Del Cambio nella mia città, Torino, che ha appena compiuto 260 anni, ma ogni centro storico italiano ha almeno un locale plurisecolare.
Anche qui di fronte in galleria c’è Savini che è stato fondato nel 1867.
[Cracco polemico con MasterChef: perché il mio funerale?]
Ecco: la bella sensazione di oggi al varo di Cracco è di essere in un posto che al netto di guerre mondiali potrebbero continuare a trovare qui i nipoti dei nipoti dei nipoti dei nostri nipoti tra duecento anni, nel 2218.
Non so come si mangerà nel nuovo Cracco, lo scopriremo nei prossimi giorni, ma mi piace assai questa sensazione di essere spettatore di una vita che potrebbe durare come quella di una quercia.
Sopravvivendo al suo stesso fondatore (cui naturalmente auguro lunga esistenza) e a tutti i presenti in questa sala, me compreso (toccata di zebedei, nda).
Nel 2218 la gente magari verrà a mangiare al Cracco e dirà “come doveva essere affascinante a inizio millennio, quando lo frequenta persino Lapo Elkann, poi diventato presidente del consiglio.”
E noi siamo qui all’inizio di quella storia. In tempi in cui in tanti controllano solo lo share o il cassetto della sera prima, guardare al futuro remoto è l’unico modo per portare finalmente avanti questo benedetto paese.