A leggere l’autopresentazione che di sé fa il CoVino, indirizzo minuscolo di Venezia, nel sestiere di Castello e poco distante dall’Arsenale, il rischio di non trovare corrispondenza con il luogo è pressoché nullo. Si dice che l’ispirazione sono stati “gli accoglienti e soffusi bistrot della Ville Lumière”, si dice che il locale nasce dalla collaborazione di Andrea Lorenzon e Cesare Benelli, e si precisa infine che si è figli d’arte. Sono notizie che possono essere lette in due modi: come un semplice biglietto da visita (chi arriva qui non è necessariamente tenuto a sapere nomi e cognomi e legami di parentela circa la ristorazione lagunare) o come punti da unire per arrivare a comporre un disegno finale, chiarissimo.
Andrea Lorenzon è il figlio di Mauro Lorenzon, oste la cui identità è indissolubilmente legata all’Enoiteca Mascareta (enoiteca con la “i”), spazio pionieristico – gestito fino all’agosto 2020 – dedicato, oltre che al cibo, all’esplorazione culturale e gustativa del mondo del vino, naturale in particolare. In curriculum, esperienze con Giorgio Locatelli a Londra, al Ridotto (1 stella Michelin, Venezia) e con la Famiglia Alajmo. Cesare Benelli è il titolare del ristorante al Covo, solidissimo riferimento cittadino (peraltro a pochi passi) e uno dei primi in città a sposare, anni orsono, la causa di Slow Food.
Il CoVino, quindi, sulla carta nasce da solide premesse, ben costruito, vincente. Soprattutto andando a ritagliarsi uno spazio (o a riempirlo) che in città non c’era. Ora, i rischi, con questo tipo di locali e con la categoria dei “figli di”, sono molti: eccesso di ruffianerie e furbizie, ego smisurati, incapacità di misurarsi con l’eredità dei padri, storytelling serviti a tavola assieme al cestino del pane, uso dei possessivi applicato a tutte gli ingredienti del menu e via dicendo.
Ecco, contro ogni previsione e assai felicemente, tutto questo al CoVino non accade, o perlomeno non è accaduto in occasione di questa recensione.
Lo spazio (minuscolo) e la cucina
Aperto nel 2013, CoVino è – come recita il sito – un nome che vuole definire sia un “piccolo covo” (in riferimento così, per quanto detto sopra, al Covo), sia una “comunità del vino”, formata da appassionati, ristoratori, produttori, clienti, ed effettivamente costruita nel corso di questi anni tanto da dare vita ad una carta vini – ne parliamo subito – che conta su una centinaio di etichette (naturali ma non solo) proposte a rotazione e che porta inevitabilmente a tornare a far visita per sapere cosa c’è di nuovo.
Gli spazi sono minuscoli: una ventina i coperti, luci calde e accoglienti, a costruire spazi di intimità (si può essere intimi mangiando in mezzo ad una ventina di sconosciuti? Sì, si può) rafforzati da legno, mattoni a vista, bottiglie di vino, e soprattutto la possibilità – proprio grazie agli spazi ridottissimi – di poter godere di una vista sulla cucina o per meglio dire, di entrarci dentro. Si vedono pentole, barattoli e fornelli, si vede una squadra al lavoro, se ne registrano i movimenti, si sentono odori e profumi che ammorbidiscono gli animi. Tavoli di legno, niente tovaglie, ma tovaglioli di stoffa che si trovano ripiegati se ci si alza per andare alla toilette (peccato non esista una categoria “recensione dei bagni dei ristoranti”: qui una visita merita).
Il menu cambia quasi quotidianamente, è breve (una decina di piatti) e prevede di poter ordinare sia alla carta che a degustazione. Se i paccheri con il ragù preparato dalla mamma di Andrea sono praticamente un punto fermo, il resto varia a seconda di estro, mercato, stagione. A pranzo c’è il “veloce e leggero”, (27 euro) o il “voglio provare di più” (3 portate di cui un dolce a 38 euro). A cena le tre portate passano a 40 euro, e si aggiunge il “Fa Ti” (in dialetto, “fai tu”), in cui si dà mano libera alla cucina e si assaggiano 4 portate a 45 euro.
Gli ingredienti e i piatti
Provenienza locale dove si può (il benvenuto della cucina è un assaggio delle verdure che arrivano dall’orto del progetto Osti in Orto, sull’isola di Sant’Erasmo), prodotti Slow Food (il manifesto con il volto di Carlo Petrini non lascia spazio a dubbi) ma, su tutto, l’idea che si vada alla ricerca del buono senza integralismi chilometrici, geografici o di confini. Si è optato per il menu degustazione, che tuttavia ha porzioni difficilmente definibili come “assaggi”: si arriva al dolce satolli e soddisfatti.
L’insalata di canoce e verdure è un omaggio gustativo e cromatico all’autunno: il sapore morbido e dolce delle canoce (prima bollite poi passate alla piastra) riceve una spinta di gusto e consistenza da frutta e verdura, soda e carnosa (tra gli altri: uva, cavolo giallo, cavolo viola, mele), dalla maionese e dall’aroma di bergamotto, spruzzato al tavolo. Croccante, aromatico il risotto cacio e pepe, su cui sia l’emulsione alla cicoria sia il crumble di focaccia sono una furbata che funziona, per colori e masticabilità.
Il palato resta pulito, senza code di troppi grassi anestetizzanti. Goloso il secondo di pesce, una rilettura intelligente di troppi “mari e monti” banali, e ancora una volta omaggio alla stagione: ricciola con funghi porcini e pioppini, salsa (ma la consistenza è quella di una mousse) ai funghi, scaglie di tartufo e riduzione di coniglio: il boccone funziona e i sapori sono netti e puliti. Il pre dessert è un blu di Montegalda, nel vicentino. Il dolce abbatte le ultime resistenze: crumble al cioccolato fondente, mascarpone, caramello salato e noci pecan. Vittoria praticamente sulla carta, con il pieno rispetto dell’opposizione morbido-croccante e una mano felice in cucina che sa fermarsi con una dolcezza misurata e calibrata.
Scontrino con sconto piacevole. Sottofondo musicale anni ’80: non sappiamo se sia una costante o meno, ma per i nostalgici del periodo – diamine – funziona.
Opinione
Il CoVino, una mangiata di tavoli in stile bistrot in zona Arsenale, è un indirizzo che, pur partendo avvantaggiato sulla carta – il progetto nasce da Andrea Lorenzon, figlio d’arte, e Cesare Benelli, titolare del Covo, locale di riferimento in città – sa mantenere quanto promette e nel corso del tempo ha dimostrato di saper crescere e trovare un’identità propria, capace di ritagliarsi uno spazio in città e di definire una realtà finora pressoché assente a Venezia. Le dimensioni ridottissime, la cucina (che definire a vista è un eufemismo) e la squadra, affiatata e sorridente, ne fanno uno dei locali di riferimento in laguna.
PRO
- Una proposta inedita in città
CONTRO
- Spazi ridottissimi: necessaria (e tempestiva) la prenotazione