Già molto, moltissimo si è parlato in questi anni del design nel food: dagli interni alle stoviglie fino all’arte dell’impiattamento e all’estetica del cibo, alle portate di un ristorante di qualsivoglia genere oggi si chiede di essere tanto buone da mangiare quanto belle da vedere. Ma c’è un’evoluzione di questo concetto – nata ufficialmente 17 anni fa – che gioca un ruolo altrettanto strategico nel mondo della ristorazione attuale: il food design.
A raccontarcelo è Ilaria Legato, brand e food designer in ambito H.O.R.E.C.A per eccellenza, fondatrice nel 2006 del gruppo I Food Designer attraverso il Manifesto del Food Design che ha ufficialmente definito le regole di questa disciplina ed è stato riconosciuto dall’Associazione per il Disegno Industriale. “Nel 2006 – ci racconta la coordinatrice del Master in Brand Design and Management for Food, Wine and Tourism di IED Firenze e consulente per diverse realtà di ristorazione italiane e internazionali – la specializzazione in food design è entrata ufficialmente in ADI con una Commissione Tematica di cui ho fatto io stessa parte con Paolo Barichella, Mauro Olivieri, Marco Pietrosante, Francesco Subiol, ognuno di noi con un ruolo specifico. In quel periodo abbiamo ideato, scritto e pubblicato il Manifesto del Food Design, il primo in Italia che spiega cos’è effettivamente il food design”.
E cos’è il food design?
“Il food design si occupa in primis di un progetto in campo alimentare. È una specifica area del progetto che si propone di produrre soluzioni efficaci per la fruibilità del cibo in precisi contesti e situazioni, con l’obiettivo di dare forma non solo alle interfacce ma anche ai servizi, nel modo più adeguato possibile alle circostanze in cui il prodotto viene consumato. La producibilità e la serialità di un prodotto, o di un servizio con alti standard, sono a loro volta le condizioni per le quali un progetto può definirsi di food design. Un progetto di questo tipo è sempre umanocentrico, vale a dire realizzato per offrire un servizio a una o più persone che manifestino determinati bisogni. Food design significa poi progettare secondo le modalità tipiche del design che, ben oltre la ricerca puramente formale o decorativa, implicano la ricerca per l’innovazione dei processi. Riassumendo, il food design è uno strumento privilegiato e particolarmente efficace per costruire un’esperienza efficace e indimenticabile per il cliente del ristorante e creare al contempo brand memorabili”.
Come si svolge la tua quotidianità di food designer presso il ristorante “La Leggenda dei Frati”, tua storica collaborazione a Firenze che fra l’altro si è appena rifatta il look sia dal punto di vista degli interni sia da quello del menu?
“Da anni il mio lavoro con gli imprenditori della ristorazione mette in pratica un metodo che è diventato recentemente anche un manuale, ‘Creative Restaurant Branding®, il metodo per far emergere l’identità straordinaria del tuo locale’ (scritto insieme a Nicoletta Polliotto nel 2021 ed edito da Hoepli, ndr), nel quale riassumo il mio approccio progettuale per rafforzare il brand di un ristorante. Innanzitutto, considero il ristorante come un sistema, un organismo vivente nel quale i singoli ruoli sono legati gli uni agli altri nella messa in scena del servizio. Presso ‘La Leggenda dei Frati’ a Villa Bardini, ristorante stellato dal 2016 fino a qualche mese fa, lavoro quotidianamente a stretto contatto con i proprietari, due imprenditori illuminati: lo Chef Filippo Saporito e Ombretta Giovannini. Illuminati perché hanno capito fin dall’inizio della loro attività a Firenze (La Leggenda dei Frati si è trasferito nella dimora storica di Villa Bardini dal 2015, ndr) quanto fosse importante lavorare sul brand, dandogli sostanza, vita e rituali fatti di processi condivisi. Oggi avere un brand della ristorazione vincente non significa solo pensare a un prodotto e servizio perfetto, ma occorre fare in modo di entrare in relazione profonda con i propri clienti raccontando una storia autentica. Una ‘polvere magica’ che rimarrà impressa e che renderà memorabile il luogo. Ecco, il mio lavoro quotidiano al ristorante è proprio questo: mettere a sistema tutte le procedure necessarie che rendono indimenticabile l’esperienza del cliente al ristorante. Dal momento in cui ci sceglie guardando il sito e attivando la prenotazione fino al punto in cui ci saluta, portandosi via il nostro cadeaux personalizzato: una selezione di piccola pasticceria con il suo packaging su misura”.
Quanto è importante coinvolgere tutti i protagonisti di un ristorante, dallo Chef al personale di sala, all’interno di un progetto di food design?
“Moltissimo. Insieme a Filippo e Ombretta ci confrontiamo quotidianamente su quali siano i nostri punti di forza, le unicità da comunicare attraverso tutti gli strumenti a nostra disposizione. Insieme rendiamo queste unicità racconto, essenza dei nostri messaggi per poi declinarle attraverso tutti i punti di contatto con il cliente. Sono tante le cose da fare ogni giorno: il lavoro sulla comunicazione e l’identità del ristorante, la cura del sito e della linea editoriale dei social da me supervisionata ma curata per noi dal professionista Filippo Zeppi, oltre a brief con lo staff coordinato dal Direttore Nilappana Joseph Jenson per fare il punto sugli ospiti che hanno prenotato per la sera, spesso giornalisti e VIP. Insieme ci confrontiamo sui loro gusti e il motivo della visita per cercare di conquistarli, trovando il giusto mondo per attivare la relazione vincente. Senza dimenticare la formazione dedicata allo staff almeno una volta al mese, con workshop di pensiero creativo per potenziare le capacità comunicative e migliorare il senso di appartenenza al brand. Insomma, ci prendiamo cura della felicità al lavoro dei nostri ragazzi, dettaglio fondamentale in questa epoca di disinnamoramento verso il mestiere di cameriere. Migliorando il lavoro dello staff, d’altronde, migliora il servizio che seguiamo e analizziamo in ogni dettaglio creando una vera e propria ‘Customer Journey mapping’, che significa semplicemente anticipare le aspettative del cliente e fare in modo che la sua visita all’interno del ristorante sia un’esperienza memorabile”.
Chiosa inevitabile sulla cucina, visto che al centro di tutto resta pur sempre il cibo: qual è il piatto di Chef Saporito che meglio esprime il concetto di food design secondo te?
“Non ho dubbi su questo: la sua terrina di fegatini. Questo piatto segue tutte le regole della progettazione, ripartendo proprio dalla sezione del manifesto del food design che indica che i principali criteri ai quali un prodotto edibile deve sottostare sono porzionabilità, modularità e formato adeguati al contesto e agli strumenti con i quali verrà consumato. E la terrina è il piatto tra i più longevi dello Chef Filippo Saporito, visto che è in carta addirittura dal 2004. Abbiamo una rivisitazione di una delle ricette più famose della Toscana come il crostino di fegatini, che viene qui scomposto e reinterpretato attraverso la scelta di creare una particolare forma per la carne. La caratteristica forma triangolare del fegatino viene infatti ricavata grazie a uno strumento che Filippo ha fatto creare ad hoc, una sorta di piramide rovesciata e allungata che viene foderata di lardo di Colonnata e farcita con fegatini e fichi. Così facendo, una volta preparato, sarà facile porzionare la forma dell’ingrediente nel singolo piatto. Ad accompagnare, troviamo invece un pane ispirato al Pan dei Santi, tipico pane che a Siena viene usato durante l’omonima festa andando a richiamare le origini dello stesso Saporito. La terrina non è solo facilmente porzionabile e modulabile in un formato adatto al piatto e alla circostanza, ma è anche sostenibile e parla di cultura territoriale. Concetti cari tanto ai food designer così come ai consumatori. Capito ora cos’è il food design?”.