Cosa può imparare la ristorazione italiana da quella giapponese

I ristoranti in Giappone hanno una cosa in comune: le code di clienti che attendono il loro turno, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Cosa possiamo imparare da una ristorazione che sembra di grandissimo successo?

Cosa può imparare la ristorazione italiana da quella giapponese

La ristorazione giapponese va a gonfie vele. Almeno, così sembra agli occhi di un qualsiasi turista capitato da Tokyo, Kyoto et similia. Megalopoli gigantesche che hanno una cosa in comune: le code per pranzare e cenare nei ristoranti. Chiunque sia stato in Giappone di recente, tra i vari insegnamenti portati a casa il secondo giorno, fa tesoro del fatto che sa che dovrà scegliere il ristorante dove mangiare con largo anticipo, presentarsi a un orario decente e prepararsi a mettersi in coda per un tempo variabile, che può abbondantemente superare l’ora, ma tanto è inutile lamentarsi o cercare alternative, perché qui funziona così più o meno ovunque.

Tant’è che fuori dai ristoranti più popolari – che spesso sono piccole catene locali, ottime davvero, come Sushi No Midori per il sushi o Tsurutontan per gli udon – ci sono panchine per ospitare i clienti in attesa, e in moltissimi (per non dire tutti) hanno adottato sistemi di prenotazione del posto (digitali, con biglietto da ritirare come in posta, o analogici, con lista in cui scrivere il proprio nome) per agevolare la situazione in quel paese incredibilmente e meravigliosamente fissato per l’organizzazione che è il Giappone.

Dunque, ristoranti pieni tutte le sere, anche in settimana. E immaginiamo i ristoratori italiani chiedersi come si faccia a raggiungere risultati così. In effetti, ce lo siamo chiesti anche noi, e abbiamo preso qualche appunto qua e là, intuendo che è una questione in parte economica e in parte culturale, da cui però si può trarre spunto.

Quanto costa un ristorante in Giappone?

ramen giapponeGli udon creativi di Tsurutontan

La domanda è mal posta, è ovvio. In Giappone – il Paese dove c’è la città con il più alto numero di ristoranti stellati al mondo, Tokyo, capace di surclassare ampiamente la Parigi roccaforte della Michelin – si può spendere qualsiasi cifra per mangiare, come in ogni altro luogo del mondo, d’altra parte. Ma, a meno che non si cerchi un raffinatissimo (e sicuramente validissimo) omakase contemporaneo, in Giappone si spende molto poco per mangiare.

Questa è certamente una delle caratteristiche che maggiormente saltano all’occhio quando si guarda alla ristorazione giapponese, ed è frutto di diversi elementi che si combinano. In ogni caso, il risultato è sempre lo stesso: mangiare in Giappone costa davvero niente, molto meno di quello che si pensa e molto meno rispetto a un pasto corrispondente in Italia, o in qualsiasi altro paese industrializzato, probabilmente.

I Takoyaki, tipiche polpettine di polpo, uno dei tanti street food a basso costo che si possono trovare in GiapponeI Takoyaki, tipiche polpettine di polpo, uno dei tanti street food a basso costo che si possono trovare in Giappone

Aiutati certamente dal potere attuale dell’Euro sullo Yen, in Giappone in questo momento i turisti si possono sbizzarrire con cene e pranzi fuori senza indebitarsi per nulla. E, soprattutto, mangiando mediamente molto bene, alla faccia di tutti quelli che all’estero decantano l’irraggiungibilità della cucina italiana. La cucina nipponica è pazzescamente varia e incredibilmente valida, con la sensazione che anche nella peggiore delle ipotesi si caschi più o meno in piedi. Un po’ come potrebbe (o dovrebbe) succedere a un turista in Italia. In Giappone – provare per credere – si finisce più che dignitosamente addirittura comprando un tramezzino o un onigiri in un kombini, ovvero in un supermercatino di quartiere (o meglio, di via, visto che ce ne sono un po’ ovunque).

Prima d’ora non c’era mai stata una sushi chef stellata: ecco perché Prima d’ora non c’era mai stata una sushi chef stellata: ecco perché

La sensazione, dunque, è che la qualità del cibo giapponese sia generalmente molto alta, con di contro una spesa estremamente contenuta. Un bento (ovvero un vassoio misto di cibarie pensate per un pasto completo) può tranquillamente e facilmente costare intorno ai 1000 yen (anche meno, a dire il vero), ovvero circa 6 euro. E sfamare in maniera molto soddisfacente. Il sushi, per dire, nella sopra citata catena (ottimo indirizzo), costa sui 25 euro a persona, con un’enorme lezione di cosa sia il sushi in Giappone e quanto lontano sia dall’idea di sushi che abbiamo da queste parti.

Insomma, mangiare in Giappone, lo ribadiamo, costa molto poco, e questo di certo aiuta ad avere le code fuori dal ristorante.

Cosa significa mangiare al ristorante in Giappone

Non solo: il fatto che costi così poco è sicuramente legato alla cultura del mangiare al ristorante in Giappone, che ci sembra di intuire molto diversa dalla nostra. I Giapponesi, soprattutto nei fine settimana, escono a cena con gli amici per fare baldoria, esattamente come accade da noi. E, nonostante la loro rettitudine diurna, di baldoria ne sanno fare parecchia.

Ma non è l’unica fruizione che hanno del ristorante. Da quel che sembra di capire, i Giapponesi vanno al ristorante anche per sfamarsi. A prezzi modici, velocemente, e come alternativa al cucinare in case generalmente molto piccole in cui prepararsi un pasto e consumarlo potrebbe non essere esattamente confortevole. Insomma, mangiare fuori in Giappone sembra essere molto più una regola che una eccezione. Molto più una necessità che un lusso. Tant’è vero che non è per nulla raro trovare Giapponesi che mangiano da soli, e anzi molti locali sono pensati per questo tipo di fruizione, con spazi isolati al bancone separati l’uno dall’altro da divisori di vari materiali.

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Questo, ovviamente, è permesso anche dall’incredibile numero di locali presenti in città, e dai prezzi generalmente molto bassi dell’offerta gastronomica. Che, tra l’altro, consentono ai ristoratori giapponesi di lavorare su molti più turni, smaltendo le code infinite e aumentando le entrate in maniera presumiamo importante. E chiudendo anche generalmente molto presto, o almeno molto prima di quanto non accada in Italia.

Insomma: prezzi bassi, e una diversa modalità di ristorazione, realmente più quotidiana e informale di quella che abbiamo in mente noi, perfino nelle trattorie. E, ovviamente, nessun coperto o costo di servizio (nonostante l’acqua e il riso in accompagnamento siano sempre presenti e il servizio sia sempre sorridente, per quanto magari gli ordini siano spesso e volentieri fatti autonomamente via tablet). Ma questo, in effetti, accade praticamente in ogni parte del mondo, tanto che ogni volta ci chiediamo come interpretino quel piccolo sovrapprezzo i turisti che si siedono per la prima volta a un tavolo in Italia e non hanno mai sentito parlare delle voci che aumentano il conto finale.

Insomma: viste le code infinite negli infiniti ristoranti del Giappone, non varrebbe la pena di prendere un po’ esempio? Ai ristoratori l’ardua sentenza.