Il mondo delle premiazioni gastronomiche vede all’incirca due momenti fondamentali nell’anno: uno è quello dell’uscita della Guida Michelin del paese di riferimento e l’altro – da qualche anno a questa parte – è la cerimonia che annuncia la classifica delle classifiche, la The World’s 50 Best Restaurants. Nata esattamente vent’anni fa e oggi sponsorizzata da S.Pellegrino & Acqua Panna, “la 50 Best” viene costruita grazie ai voti di un migliaio di esperti internazionali. La cerimonia di premiazione annuale si è tenuta a Londra dal 2003 al 2015 prima di iniziare un tour mondiale con tappe a New York nel 2016, Melbourne nel 2017, Paesi Baschi nel 2018, Singapore nel 2019 e Fiandre nel 2021. Per poi tornare a Londra per il ventesimo anniversario, dopo la cancellazione della tappa prevista a Mosca a causa della guerra in Ucraina.
Due appuntamenti molto diversi, quello con l’annuale edizione della Guida Michelin e le sue stelle e quello con “La lista” dei 50 migliori ristoranti al mondo. Diversi, ma tutto sommato uguali (sempre di grande ristorazione e di premi si parla, no?). E, forse, l’uno potrebbe imparare qualcosa dall’altro. Noi, nel caso qualcuno voglia prendere spunto, buttiamo lì qualche consiglio non richiesto.
Cosa la Michelin può imparare dalla 50 Best
Fin dall’inizio, la The World’s 50 Best Restaurants ha caratterizzato il momento delle premiazioni dei migliori ristoranti del mondo come un appuntamento di gala prima, e come uno spettacolo holliwoodiano poi. E qui gli organizzatori delle cerimonie di assegnazione delle Guide Michelin potrebbero aprire gli occhi, prendere in prestito dagli ispettori uno dei loro taccuini, e prendere spunto per il prossimo anno. Perché la verità è che il confronto tra la 50 Best e l’appuntamento annuale con l’uscita della nuova guida (almeno di quella italiana) è davvero impietoso. Da un lato abbiamo le luci rosa che illuminano i vincitori in platea, le sciarpe rosse da lanciare in aria come nella più classica cerimonia dei diplomi americana, la consegna dei premi di mano in mano come nella notte degli Oscar e – signore e signori – una star come Stanley Tucci a tenere il palco e a dettare i ritmi di una serata potenzialmente noiosissima perfino per gli addetti ai lavori. Dall’altro abbiamo una cerimonia che sì cresce anno dopo anno, ma che talvolta sembra ancora terribilmente provinciale, con i suoi siparietti dedicati agli sponsor che neanche Non è La Rai a inizio anni Novanta. Anche i premi della The World’s 50 Best Restaurants sono – ovviamente – sponsorizzati, ma i finanziatori si fanno bastare la comparsa del marchio nella dicitura del premio, senza pretendere di assegnare personalmente una magnum di Gin Mare con cambio shimano al vincitore di turno.
Cosa la 50 Best può imparare dalla Michelin
Lo spettacolo prima di tutto, dunque. Insomma, ovviamente. Va da sé che le due classifiche mondiali che più spostano cose (e clienti, e soldi) nel mondo gastronomico debbano pensare attentamente alle loro dinamiche. E se c’è una dinamica della The World’s 50 Best Restaurants che lascia perplessi un po’ tutti quanti è la scelta – introdotta nel 2020 – di escludere dalla classifica i vincitori degli anni passati, relegandoli in una hall of fame, una classifica dei best of the best che li porterà in gloria per sempre, e sempre. Le nostre perplessità, come tanti, noi ve le annunciammo già a suo tempo. E le ribadiamo ancora oggi: ve la immaginate la Guida Michelin che non premia più i suoi tre stelle o, peggio ancora, che assicura loro di non poter mai più retrocedere, ora che sono arrivati ai massimi livelli possibili? Noi no, per fortuna.
Noi ce lo immaginiamo, un mondo dove le due principali – e uniche, a conti fatti – premiazioni gastronomiche internazionali si fondano, prendendo il meglio dell’una e dell’altra e creando una sorta di gigantesco mostro mutante a due teste che, a quel punto, distruggerà tutti i cuochi del mondo.