“Paris is always a good idea” dice Audrey Hepburn in Sabrina. Ça va sans dire: parliamo di Parigi, la Ville Lumière, città simbolo dell’amore romantico, della vie en rose. Il problema è che la frase, in quel Sabrina con la Hepburn, non viene mai pronunciata. Allo stesso modo noi possiamo dire: Parigi è sempre una buona idea, se sai cosa e dove mangiare. Altrimenti Parigi diventa la sua sindrome aka una mezza delusione, e non vorremmo mai spezzare l’incantesimo.
Costantemente al primo posto fra le mete europee più visitate, la capitale francese ha molto da offrire. Le vedute iconiche, i monumenti antichi, la vita notturna, il modo di prendere le cose con leggerezza “alla francese”. E poi, il cibo. Che conta una sfilza di classici intramontabili, talmente pop da essere entrati nella dimensione meme. “La baguette, le croissant, l’éclair” vi dice qualcosa? Se la risposta è no, incollate su Google.
Oltre ai piatti tipici francesi che, a parte qualche eccezione, tecnicamente parigini non sono, c’è assai di più. L’intera area metropolitana è estremamente cosmopolita: il grosso dell’immigrazione da ex colonie africane (Senegal, Niger, Marocco, Algeria) si mescola a una tradizione ebraica ancora molto radicata, alla new e old wave giapponese, alle tendenze che guardano ai prodotti naturali, dal pane al vino al vegan. Così a Parigi oggi si mangia di tutto.
Attenzione però: in una città perennemente paccata di turisti bisogna sapersi orientare, perché le fregature sono dietro l’angolo. Specie in questo periodo di Olimpiadi imminenti. Ecco cosa e dove mangiare a Parigi, dai piatti tipici, agli indirizzi, a come evitare le trappole turistiche.
Piatti tipici di Parigi
Pensate alla cucina francese e tirateci fuori le cose più iconiche. Ecco, questi sono i piatti tipici di Parigi, da quelli sotto braccio alla fille sbarazzina col basco fino ai date di Emily in Paris. La Ville non è esattamente originale in termini di creatività culinaria. In quanto capitale e per ragioni storiche ed economiche di commercio fluviale, è sempre arrivato di tutto dai quattro angoli di Francia. Il bistrot parigino dell’immaginario avrà invariabilmente in carta le huitres bretoni, l’escargot borgognona, la ratatouille provenzale e così via. Però è anche vero che alcuni piatti sono più ubiquitari di altri, ed è giusto citarli.
Baguette
La bacchetta che rende Parigi così magica è sotto forma di squisito pane croccante, da mordere caldo appena uscito dal forno. La baguette la conosciamo tutti e forse pensiamo che sia sempre stata lì. È interessante sapere che il pane è nato prima del suo nome, e che entrambi sono invenzioni piuttosto recenti. Di pane tipo baguette se ne ha nozione dal Diciannovesimo secolo, mentre la nomenclatura data 1920 da baculum, latino per bastone o bacchetta. Ad agosto dello stesso anno avviene la codificazione da parte del Dipartimento della Senna: peso minimo 80 grammi, lunghezza massima 40 cm, da non vendere a più di 0,35 centesimi di franco al pezzo. Oggi sforiamo tutto (soprattutto il prezzo) ma va bene così: plus de baguette, plus de bonheur.
Crêpes
Se Marie-Antoinette fosse vissuta oggi, avrebbe sicuramente fatto a meno del paragone con i croissant. Sono le crêpes a spuntare dappertutto quasi a fare le veci del pane. Si trovano in versione galette, l’originale bretone con grano saraceno; salée con ripieno di formaggio, prosciutto, funghi, verdure; flambé e suzette, esclusivamente sucrée o dolci. Il piatto nasce nel nord della Francia, in particolare la Bretagna. Il termine deriva dal latino crispa (da cui le nostre crespelle) per il modo in cui vengono arrotolate su se stesse mentre cuociono sulla piastra.
Jambon beurre
L’umilissimo panino al prosciutto è diventato un piatto iconico, anche a livello internazionale. A New York, ad esempio, è uno dei sandwich più richiesti nelle panetterie d’ispirazione francese, mentre in patria si vende al ritmo di un miliardo all’anno. Da dove arriva l’hype? La semplice combo baguette, burro, prosciutto cotto deve il suo successo agli ingredienti genuini. Che ai palati turistici meno avvezzi (vedi, americani) devono sembrare l’equivalente della Nona Sinfonia sulle papille. Adesso che l’hanno capito anche a casa loro, forse la magia si è un po’ persa. Ma Parigi val bene un jambon beurre, garantito.
Croque-Monsieur e Croque-Madame
Sulla scia del sandwich troviamo la coppia parigina per antonomasia. Il croque-monsieur, che mette insieme prosciutto e formaggio su pane tostato. E la croque-madame, che ci mette il carico piazzandoci sopra un bell’uovo fritto e altro formaggio. Fra i due nasce prima l’homme, invenzione del primissimo Novecento che include pan de mie (pane in cassetta), groviera, prosciutto cotto, besciamella come topping o salsa di accompagnamento. Su questa ricetta si innesta la femme, risalente più o meno agli anni Sessanta. Infine, se proprio volete, c’è la croque-mademoiselle: una sorta di “figlia” in versione tutta vegetariana con cetriolo e lattuga.
Quiche
Un altro pranzo gettonatissimo è la quiche, torta salata tipica della Lorena a nord est della Francia. Non per niente quiche lorraine è il suo nome completo, adattato a sua volta dal küchen (torta in tedesco) che sta giusto qualche chilometro oltre il confine. La versione originale prevede pasta brisée con ripieno di uova, panna e pancetta. Niente formaggio in teoria: in pratica, oggi è uno degli ingredienti immancabili, specie gruyère ed emmenthal. Altre versioni tipiche sono quiche florentine con spinaci ed erbe aromatiche, e quiche provençale con zucchine, cipolle, pomodori.
Soupe à l’oignon
Nella categoria “piatti poveri ma buonissimi” (e ubiquitari) c’è la zuppa di cipolle, antipasto tipico nei ristoranti parigini e francesi tutti. Dalle origini contadine fino alla codificazione ufficiale nel Seicento-Settecento, si è fatta trasposizione fighetta del binomio pane e cipolla. Gli ingredienti di base sono consommé di manzo e cipolle brasate, a cui vengono aggiunti crôutes di pane dorato ricoperti da una pioggia di formaggio. Non importa se è estate: a Parigi la soup à l’oignon non ha stagione.
Macarons
A discapito di tutti i decadenti dolci francesi, a Parigi vi toccano i macarons. La storia di questi biscotti morbidi ripieni è legata a doppio filo con la capitale e con i suoi sovrani: i loro antenati più accreditati si devono a Claude Gerbet, cuoco di Marie-Antoinette. La ricetta però è stata codificata solo dal secolo successivo, aprendo la strada a quell’universo psichedelico dai mille sapori che abbiamo in mente oggi. Alla base del macaron troviamo una meringa con farina di mandorle (il biscotto-sandwich) farcita con crema o ganache.
Dove mangiare a Parigi
L’imbarazzo della scelta è l’invito e la risposta più ovvia. Fra café, bistrot, brasserie, boulangerie, pâtisserie, bar à vin l’universo gastronomico della cucina tipica è già bello saturo. E, come accennato nell’introduzione, vale la pena provare le cucine “altre” che ormai a Parigi sono di casa. Da quelle di Nord e West Africa, ai localini ebraici dell’ex ghetto, al cosiddetto “quartiere giapponese” vicino a Opéra, fino alle eccellenti proposte vegane. Ecco, sezione per sezione, quali sono gli indirizzi must da provare a Parigi.
Bistrot e brasserie tipiche
Qual è la differenza? Il bistrot è un locale casual, aperto soltanto a ore pasti con menu smilzo e servizio “fast”. Il termine stesso deriva dal russo bistro, che significa veloce. Non a caso oggi molti ristoranti in Italia e all’estero si definiscono bistrot: di norma propongono piccola cucina, menu del giorno e piattini da condividere. La brasserie invece offre menu più ampio e tradizionale, che invita a indugiare a tavola anche grazie all’orario continuato mattina-sera tardi. Questo tipo di locale nasce proprio a Parigi sulla rive gauche: il nome deriva dalla produzione di birra (brasser la bière) sul posto.
Tra grandi vetrate, tavolini stretti in legno, specchi e piccolo dehors, ecco quali provare a Parigi. Bofinger, storica brasserie alsaziana a Bastille; Le Quincy, bistrot old school (si paga cash) a due passi dalla Gare de Lyon; Bistrot des Tournelles, tra Place des Vosges e Bastille; Au Pied de Cochon, brasserie a Les Halles; Les Arlots, bistrot e bar à vin nel 10 arrondissement; Baratin, bistro pop a Belleville.
Boulangerie classiche e all’avanguardia
Il pane e i suoi derivati a Parigi sono una cosa seria. Soprattutto a colazione ma anche a pranzo, vista l’ampia gamma di panini e toast tipici. Le tendenze pane parigine si dividono in istituzioni e indirizzi punk, che al pane abbinano fermentati e specialty coffee oltre a una presenza social incisiva e accattivante. Tra le prime troviamo Du Pain et des Idées, bakery tradizionale in zona République; Boulangerie Poilâne, panetteria artigianale a Saint Germain-de-Prés; Tout Autour du Pain, un classico per la baguette in Oberkampf.
I secondi includono Mamiche, che insieme al pane sforna maritozzi e babka; Ten Belles Bread, tempio di sourdough e caffè specialty con torrefazione annessa; Shinya Pain, bakery a Montmartre dal tocco giapponese; The French Bastards, sei boutiques a lievitazione naturale con tanto di “manifesto culturale”; Fermentation Générale, must “acido” di Oberkampf corredato da vino, kombucha, alimenti fermentati.
Bar à vin naturali
Non è un segreto che, a Parigi e in Francia, il vino sia uno stile di vita. Ed è proprio dalla Francia che è partito il movimento naturale che oggi spopola ovunque. Spesso è accompagnato da una cucina pensata e interessante, sempre sul pezzo con le ultime tendenze. Ecco alcuni imperdibili wine bar per bere (e mangiare) bene.
Juveniles, bistrot à vins classico a due passi dal Jardin du Palais Royal; Septime la Cave e Clamato, bistrot e seafood bar adiacenti (entrambi diretti dallo chef Bertrand Grébaut) con cantina superlativa; Parcelles, bistrot à vin nel Marais con cucina fusion; Des Terres, cucina ricercata e carta naturale nel 20 arrondissement; Ferment, vino e bevande fermentate (anche non alcoliche) con piccola cucina a Pigalle.
Ristoranti africani
Il 48% di tutta l’immigrazione in Francia è costituita da persone di origine africana. La stragrande maggioranza ha il “vantaggio” della lingua, in quanto proveniente da ex colonie francesi. Soprattutto Nord (Algeria, Marocco, Tunisia) e West Africa (Senegal, Costa d’Avorio, Niger). Una storia di sangue e sofferenza che però ha portato una cosa buona, in tutti i sensi: l’integrazione in cucina. Oggi a Parigi ne troviamo testimonianza in eccellenti ristoranti, con specialità tipiche che fanno a tutti gli effetti parte della cultura gastronomica locale.
A partire da BMK Paris-Bamako, specializzato in mafè, yassa, thiakry tipici di Mali, Gambia, Senegal; Le Tagine, cucina marocchina a Oberkampf; Waly Fay, ristorante senegalese con ottimo rapporto qualità-quantità-prezzo; Le Négus, cucina etiope in zona Nation; Jah Jah by Le Tricycle, cucina afro-caraibica vegana a Saint Dénis.
Cucina ebraica
L’elegante quartiere Le Marais, e in particolare Rue de Rosiers, contraddistingue l’ex ghetto di Parigi. Qui, al pari del suo corrispondente romano, si concentrano locali e trattorie di cucina ebraica. Per lo più casual (anche per i prezzi accessibili), si tratta di vere e proprie destinazioni gastronomiche con fila perenne – ma vi assicuro che vale la pena. Ecco quali provare per un pranzo o snack semplice e gustoso.
Miznon avrà location in tutto il mondo, ma qui trovate la versione più genuina: tantissime opzioni vegetariane (su tutte il carciofo e baby cavolfiore intero), kebab e pita farcita. L’As du Fallafel, tempio indiscusso dei falafel; La Boutique Jaune, pasticceria e panetteria yiddish; Florence Khan, bakery stile newyorchese con deli e pane tipico.
Ristorazione giapponese
A Parigi non manca il cosiddetto “quartiere giapponese” di Rue Sainte-Anne a due passi da Opéra. Una scena gastronomica più unica che rara, con izakaya, omakase di sushi e pasticceria wagashi di altissima qualità che attraggono un vasto pubblico. Non ultimi i nostri Japadvisor, appassionati di cucina giapponese in Italia e nel mondo che qui hanno visitato (e assaggiato) in lungo e in largo. Ecco, anche prendendo spunto dalla loro guida, i migliori indirizzi da provare.
Menkicchi, specialista in ramen e gyoza; Nodaïwa, indirizzo storico specializzato in unagi o anguilla grigliata; Komatsubaki, ristorante tradizionale per sushi e kaiseki (pasto cerimoniale); Kowadari Ramen, suggestivo locale in cui pare di mangiare al mercato del pesce Tsukiji a Tokyo. E ancora Toraya, pasticceria wagashi e salone da tè; Takara, primo ristorante in Europa a servire l’hot pot sukiyaki; Zen, fra i più gettonati di Parigi.
Parigi vegana
Ho già spiegato estesamente quanto Parigi sia, contro tutte le aspettative, città vegan-friendly. Non indugio oltre, e vi lascio direttamente quali indirizzi provare per ogni momento della giornata. Colazione dalla boulangerie e pâtisserie Land and Monkeys (più locations) e Grounded a Voltaire per ottimi roll dolci e caffè specialty. Merenda dolce a VG Pâtisserie (due passi da Grounded) e Joe and Nana Cakes (Gare du Lyon).
Pranzo stile bistrot a Le Potager de Charlotte (Pigalle), 42 Degrés (Poissonnière), Le Potager du Marais per cucina tipica francese in versione plant based. Cena eclettica con possibilità di tasting menu da Faubourg Daimant (Saint-Denis), mesa de HOY (Pigalle), brEAThe (Montorgueil).
Come evitare le trappole turistiche
Mangiare like a local è un conto, riuscirci è un altro, specie quando si è in vacanza. Gli ostacoli sono almeno due: da un lato la fame, che può capitare ovunque e spesso fa accontentare; dall’altro gli specchietti per le allodole, che qui i ristoratori sanno far scintillare benissimo. Parigi non ne è immune, e tutti quei tavolini pieni zeppi di gente che mangia (spesso a caso) sono lì a testimoniarlo. Come scampare alle trappole turistiche?
Innanzitutto, evitare i luoghi turistici a ore pasti. Ok, quasi tutto il centro di Parigi lo è (turistico), ma alcuni lo sono più di altri. Ve ne segnalo almeno tre: Place du Tertre, suggestiva piazzetta in cima a Montmartre che vi rapina con quadretti e locali mediocri; l’intero Quartiere Latino, aka il paradiso dei buttadentro; i Grands Boulevards e soprattutto gli Champs Élysées, il deserto gastronomico per eccellenza. In tutti questi posti rischiate A) di mangiare male B) di spendere troppo C) di dovervi accontentare del mcdo (alla francese) per indecisione o mancanza di alternative.
Un altro consiglio è evitare indirizzi famosi. Non voglio fare nomi, ma ad esempio quel paio di posti dei macarons? Quelle brasserie storiche “dove andava Hemingway”? Il café di Amelie? Ci siamo capiti. Quando un ristorante appare in un film o una serie tv (io direi anche reality, ma poi qua mi censurano) non andateci. Intanto perché ci vanno tutti. E poi perché chi diventa un brand fa due cose: alzare i prezzi per giustificare “l’esperienza” e perdere il focus sulla cucina. Ergo, spendere tanto per mangiare così così? No grazie.
L’ultimo consiglio è in positivo. Ovvero leggete, informatevi, usate il mouse per cliccare sulle guide gastronomiche, aggiustate (se vi interessa davvero mangiar bene) il vostro itinerario anche in base ai ristoranti. Piuttosto che accontentarvi del fast food globale o locale, girate i mercati, comprate il pane alla bottega che vi ispira, osservate il mondo intorno invece di fissarlo dallo smartphone. In due parole: seguite l’istinto.