“Città dei taglieri”. Così viene descritta Bologna dall’assessore alla Cultura, Bruna Gambarelli, preoccupata dalla recente esplosione di locali e ristoranti che hanno invaso il centro storico. Di per sé è una cosa positiva, viste le dimensioni da vero boom, come testimoniano i dati resi noti della Camera di Commercio e aggiornati a giugno 2017:
1.719 tra ristoranti e attività similari (848 i ristoranti veri e propri), 327 in più rispetto a cinque anni fa con una crescita del 23,5%.
Ma tutto il settore del cibo sta vivendo un momento d’oro a Bologna: secondo gli stessi dati resi noti dalla Camera di Commercio, gli esercizi generici di vendita di alimentari sono cresciuti del 48% in cinque anni, passando dai 339 del 2012 agli attuali 502.
Molto bene anche gli esercizi dedicati alla vendita di bevande, aumentati del 142%, mentre le caffetterie dotate di torrefazione sono cresciute del 233%.
Dati senza dubbio confortanti, anche a livello occupazionale.
Tutto okay, quindi, per Bologna? No, non esattamente.
Come le altre città d’arte, prime fra tutte Venezia e Firenze, anche il capoluogo emiliano alla fine rischia l’indigestione.
Il rischio, sotto la spinta del turismo di massa, è di trasformare l’aspirazione di diventare la “City of Food” del futuro, legittima per una città con il pedigree gastronomico di Bologna, nella “città dei taglieri”, un ininterrotto dehors a cielo aperto per turisti, con intere zone del centro storico che perdono la loro identità.
[Crediti | Link: Corriere Bologna]