Cirispaccio è una trattoria / tavola calda napoletana in zona Sarpi a Milano che funziona anche da asporto e come piccolo mercato di specialità campane. Semplicità e mood familiare sono il tratto distintivo, che si riflette senza fraintendimenti nella cucina proposta. La nostra recensione.
A prima vista non c’è nulla di tipicamente napoletano in questa piccola gastronomia/osteria dalle parti di Paolo Sarpi. Design neutrale e bianchi scaffali geometrici alle pareti sorreggono una fitta trama di bottiglie di vino e prodotti tipici campani. In mancanza di tovaglie a scacchi, quadretti nostalgici, e altro repertorio stereotipato, la messa in scena dell’autenticità non è evidentemente un mantra a cui è stato dato alcun peso. Non trova soddisfazione qui quel trucchetto per cui l’atmosfera viene prima (o al posto) della sostanza, e questo è apprezzabile.
L’ambiente, i prezzi
Ciò che ne distingue l’aspetto da qualsiasi altra cosa provvista di vetrine e scaffali è l’insegna cubitale che strilla “bufala” e, aguzzando un pochino meglio la vista, il menu fuori, appeso. Niente pesce, niente pizza, leggendo la carta ad alta voce ti sembra di essere parte di una quotidiana discussione in famiglia su cosa si cucinerà per pranzo, o su quale bottiglia di vino locale stappare a cena.
Ci sono tutti i fondamenti dei primi piatti napoletani (9-10 euro), più qualche sconfinamento nazionale senza abbandonare il criterio del semplice e diretto (tipo gli spaghetti con porcini). Poi naturalmente la parmigiana (8 euro), antipasti di salumi e formaggi, e tra i secondi vitello, galletto e maiale in versioni schiette e senza fronzoli (10-12 euro).
Zero teatralità, zero trattoria da cartolina serigrafata, da Cirispaccio va in scena l’altra faccia di Napoli. Il servizio garbato e pieno di umanità, l’atmosfera senza pretese, la genuinità dei piatti. È più una Napoli leggera e sottovoce che imposta a tinte forti.
I piatti assaggiati
I paccheri alla sorrentina sono il mio miglior assaggio. Pomodoro, mozzarella, basilico e una grattata generosa di provola sono l’esempio quintessenziale della finta semplicità della cucina napoletana. Pochi ingredienti, pochi passi, ma affinati con metodo e pazienza fino a un equilibrio magistrale che è sempre personalissimo (pensiamo alla pizza, non risponde anch’essa a questa immagine?). Basta una prima snasata sul piatto fumante, e le materie prime si impongono ai sensi con irruenza, in particolare la provola sembra riprendere forma fisica dai propri fumi, in sospensione sul piatto, tanto intenso è l’aroma, in una specie di processo di sublimazione inversa. O come il genio che esce dalla lampada.
La parmigiana e le zite al forno con sugo rosso di macinato di maiale, salame e uova, mal si prestano a troppe disquisizioni analitiche; se potessero parlare, ne riderebbero stupite e incredule. Come un bravissimo barbiere di quartiere a cui si cercasse di spiegare il suo ruolo di hair-stylist nel contribuire a definire olisticamente la complessità ambigua e sfuggente dell’uomo contemporaneo e blah blah.
Quindi non ne farò. Ma sono entrambe ricche di sapore, generose negli ingredienti, e mostrano una fattura casereccia più che apprezzabile. Tornerò volentieri per completare il giro dei primi e magari un galletto, ma non credo per i dolci. La nostra pastiera aveva quell’equilibrio chimico e compattezza innaturale che tanto sa di semi-industriale, o di semi-artigianale, a seconda dei punti di vista.
Il fatto che “viene da un pasticcere di giù” non fuga tutti i dubbi. Anche “giù” hanno i laboratori da export su larga scala immagino?
Tutti i prodotti utilizzati sono in vendita allo spaccio, o meglio, all’inverso, sono tutti i prodotti in vendita ad essere usati anche in cucina. Tipo quei locali che per un po’ sono andati di moda, dove potevi portarti via le sedie (comprandole), e che per fortuna ora sembrano dileguati nella spazzatura inter-stellare delle mode fallite.
In questo caso invece funziona bene, perché dà la possibilità di provare prima, e cucinato bene, quello che magari si avrebbe voglia di comprare e portare a casa. Alcune riconoscibili “eccellenze” tra i prodotti presenti, tipo il provolone del monaco DOP di Agerola, buoni vini cilentani (dai 15 euro, 4 euro a calice), mozzarella di bufala e pasta di alta specialità da piccoli produttori campani. Tutto, ca va sans dire, a prezzi più bassi degli altri negozi campani a Milano – ci tiene a rimarcare il nostro cameriere.
Per rimanere fedeli alla vocazione di quartiere, per servire il vicinato con onestà, dice. Non scorgo elementi di smentita guardandomi intorno: ad esempio la mozzarella di bufala F.lli Di Lascio sta a 4 euro per 250 grammi, e la pasta Setaro 6 euro al chilo.
Me ne vado con una mozzarella e un pacco di spaghetti extra lunghi Setaro che spuntano 20 cm dallo zaino, e che il giorno dopo troveranno il senso della loro esistenza grazie a un paio di cucchiai di colatura di alici che a casa mia non manca mai. Giusto per rimanere in tema ancora un po’, ancora un giorno.
Informazioni
Cirispaccio
Indirizzo: Via Luigi Canonica, 74, 20154 Milano MI
Aperto tutti i giorni dalle 11,45 alle 23,45
Tipo di cucina: trattoria regionale (campana)
Ambiente: informale
Servizio: informale