È forse vero che Torino è una città diffidente verso le novità, talvolta – diciamocelo pure – perfino un po’ snob. Ed è vero che – come ha raccontato in un’intervista dai toni “curiosi” Umberto Montano – Mercato Centrale Torino e i Torinesi non sono mai riusciti a dialogare. Ah, è vero anche che probabilmente non è stato comunicato il tutto in maniera sufficientemente efficace per il territorio, giusto per edulcorare le parole di Montano, che ha pressappoco detto che i soldi dati al suo ufficio stampa sono stati buttati.
Tutti motivi che di sicuro hanno contribuito alla sorte non proprio di successo del progetto che doveva riqualificare Porta Palazzo attraverso il buon cibo. Ma – e qui ci rivolgiamo direttamente proprio a Umberto Montano – pensare che i problemi di Mercato Centrale Torino si fermino ai Torinesi, ai giornalisti o all’ufficio stampa significa non aver inquadrato i problemi di Mercato Centrale Torino. Che ci sono, e che qualcuno dovrebbe pensare di risolvere, se vuole risollevare le sorti di un progetto che sicuramente ha delle belle potenzialità. Su questo, sulle possibilità di successo che Mercato Centrale Torino ha sulla carta, non abbiamo mai avuto grossi dubbi, al netto di un’operazione che potremmo definire coraggiosa e pericolosa: piazzare una corte enogastronomica in una zona della città alla quale sembra bastare il suo (fantastico) mercato precedente.
Delle suddette potenzialità, tra l’altro, abbiamo avuto una piacevole conferma giusto poche sera fa, quando siamo andati a cena al QB di Davide Scabin, il progetto che avrebbe dovuto rilanciare Mercato Centrale di Torino, come se per farlo bastasse una delle firme un tempo più note del fine dining nazionale. E invece. Presentandoci – va detto – senza gigantesche aspettative, da QB abbiamo trovato un ristorante che probabilmente, per usare un termine preso in prestito dalla Michelin, “vale il viaggio” a Mercato Centrale. Certo, sedendosi a quella tavola bisogna eliminare più di qualche preconcetto, dimenticandosi – come mi è stato suggerito poco prima di andarci – di chi era Scabin, e aspettandosi esattamente quello che propone sulla carta: una buona cucina tradizionale, ben eseguita, un omaggio alla tradizione italiana, abbondante e soddisfacente. Questo abbiamo trovato da QB, uscendone con uno scontrino sorprendente: 60 euro a testa per un menu di sette portate (sette!) più una bottiglia di vino, ahinoi scelta da una carta piuttosto risicata. Ed è qui che c’è venuta una delle tante idee per dare a Mercato Centrale quello che servirebbe.
Così, con un pizzico di spocchia che di certo Umberto Montano saprà apprezzare, siamo qui a proporgli qualche idea per Mercato Centrale, ripartendo dai punti di forza che sicuramente ha.
1. La commistione
Qual è il vero valore aggiunto di Mercato Centrale? La commistione della proposta gastronomica, certamente. In un luogo così, un cliente particolarmente pigro potrebbe chiudercisi dalla colazione all’amaro del dopocena (o al cocktail, se il bar fosse aperto). Potrei prendere un aperitivo, smangiucchiando qualcosa di sfizioso preso al banchetto della carne (delle polpettine, magari, che ci vengono sporte su uno stuzzicadente mentre passeggiamo), o accompagnando il mio vino con un tagliere di formaggi di Famù. Poi cenare da Scabin, e nel frattempo approfittarne per prendere due arancini di Sessa per il pranzo del giorno dopo. Una figata, no? Se non succede, probabilmente è (anche) perché il cliente non è invogliato a farlo, ad approfittare mescolando le diverse offerte presenti una accanto all’altra, nonostante la proposta iniziale fosse grossomodo quella. Tendenzialmente, ogni bottega sembra un posto a sé, quasi non ci fosse un dialogo. Prendiamo un aperitivo, ma non siamo sicuri di poterci sedere al tavolo di QB portandoci dietro il nostro bicchiere. Probabilmente nessuno ci direbbe nulla se lo facessimo, ma non c’è un invito a farlo. Potrebbe essere, chessò, una tesserina da obliterare per provare cinque botteghe a scelta nel corso di una serata, nello stesso stile delle serate Degustando dell’agenzia To Be, che a Torino sono sempre state un successo. O una collaborazione in qualche modo più esplicita: perché la (risicata) carta vini di Scabin non è quella di Cantina Social, sullo stile del format più convincente dell’anno in città, quello di Giù da Guido di Eataly, che alla cucina da osteria unisce la possibilità di pescare bottiglie a caso dall’immensa cantina di Eataly, un piccolo paradiso per un appassionato di vini?
2. Lo spazio
Mercato Centrale Torino ha uno spazio particolare, diverso da tutti gli altri locali del format che hanno generalmente riscosso un maggiore successo, e forse c’è da farsi qualche domanda. Il PalaFuksas, per quanto d’autore, è bruttarello forte, e a questo non c’è rimedio. Ma una volta entrati, l’estetica architettonica potrebbe anche essere lasciata alle spalle, concentrandosi su quel che c’è dentro. Invece, Mercato Centrale è bruttarello pure dentro. Troppo grande per suscitare davvero calore, con quei negozi al primo piano che poco c’entrano col progetto generale (di questo parleremo in un punto a parte), con un arredo un po’ così, che va anche bene l’informalità, ma è un attimo che le sedie di plastica danno un’idea di poca cura dell’insieme. Sembra d’essere in stazione, in uno di quei bar che servono panini scongelati e riscaldati sulla piastra e non offrono servizio al tavolo. Insomma: gli spazi di Mercato Centrale, per non sembrare tristi, vanno abbelliti, sgrigiti, e soprattutto riempiti, e magari non solo di cibo. Quel che manca qui è la progettualità, che per esempio Eataly – forse il competitor più spesso chiamato in causa nel raffronto – ha sempre avuto e sfruttato. Didattica, eventi, cene spettacolo e appuntamenti vari: Eataly – indipendentemente dal successo di ogni singola iniziativa, che dubitiamo sia sempre stato costante – non ha mai smesso di proporsi alla città come un punto di riferimento sociale, oltre che come un supermercato. Altrimenti, dove sta la differenza, visto che ormai anche il prodotto d’alta gamma si trova un po’ ovunque (se non nella GDO negli eshop online)?
Ecco, questo manca a Mercato Centrale, che pure ha gli spazi e la forza per gestire tutto questo. E pure la vocazione, visto che nasce in un quartiere multiculturale, dove la commistione di idee, sapori e pensieri può essere trasformata in una risorsa (San Salvario docet, da questo punto di vista).
3. La trasversalità
Per esempio, c’è una categoria che avrebbe bisogno di tutto quello spazio come del pane, e sono le famiglie. Che probabilmente possono davvero essere il pubblico perfetto per Mercato Centrale, basta creare una proposta pensata per loro. Gastronomicamente già esiste, se salviamo la commistione di cui parlavamo prima: i genitori possono prendere piatti più complessi, mentre i bambini possono scassarsi un hamburger con patatine come piace a loro, tutti seduti allo stesso tavolo. E nel frattempo si fa pure la spesa per la settimana.
E poi, appunto, c’è l’abbondanza di spazio, che per le famiglie non è mai abbastanza. Mentre vedevo una coppia di amici a cena con noi da QB spendere, oltre al conto della cena, 70 euro di baby sitter per la serata, pensavo tra me e me a quanto bello sarebbe stato prendere qualcuno di quegli spazi inutilizzati e farci una proposta di animazione, di nursery, di babysitting o chessò io, che permetta ai genitori di cenare in santa pace mentre anche i figli si divertono (a pagamento, s’intende). Perché no?
4. L’integrazione
Mercato Centrale nasce in una zona non facile, l’abbiamo detto, e questo è sicuramente una sua grande sfida. Ma a Torino ci sono tante zone non facili che si sono trasformate in luoghi di ritrovo, dunque la sfida non è impossibile. La verità, però, è che Mercato Centrale ha dialogato poco con ciò che la circonda, che pure poteva essere una grande risorsa: intorno, infatti, c’è il mercato più grande della città – uno dei più grandi d’Europa – con cui interagire, di cui fare tesoro. Si compra la verdura qua, le spezie là, e poi ci si ferma per una merenda sfiziosa. Per dire.
Ma non solo: quei negozi al primo piano della struttura, che hanno sempre stonato con l’insieme e dato l’immagine di un progetto mai davvero finito, davvero non si possono coinvolgere in nessun modo? Brandizzare, integrare, magari dando loro da vendere qualche gadget e qualche maglietta, ché in fondo la grafica di Mercato Centrale è pure super carina. Questo è lo spirito di Porta Palazzo, e o lo si capisce e lo si fa proprio, o si perde.
5. L’universo Mercato Centrale, tra dentro e fuori
Stesso discorso può valere con l’ambiente circostante che, diciamocelo, può essere respingente per una cena romantica fuori. Porta Palazzo può spaventare, se non la si conosce, e di certo questo per la signora della Torino bene o per il gruppo di giovani amiche che vanno fuori a prendere l’aperitivo – e non solo per loro – può rappresentare un problema. Ma ci sono tanti punti di forza da sfruttare volendo, anche rispetto alla zona. Qua a un passo c’è il Qaudrilatero Romano, in cui si può finire una serata cominciata a Mercato Centrale. E, come dicevamo, anche il mercato intorno può essere un valore aggiunto. Infatti, a dimostrazione di quel che stiamo dicendo, c’è da dire che da queste parti i progetti sanno anche funzionare, come dimostra Beppe Gallina, che non ha mai un posto libero nella sua pescheria con cucina. Certo, l’amministrazione può aiutare a rendere la situazione più sicura e confortevole, finanche più illuminata, in alcuni punti di piazza della Repubblica. Ma qui siamo al di là del campo d’azione dei nostri consigli.