70 grammi di pasta qualunque, un filo d’olio o una noce di burro, due cucchiaini di parmigiano: quale sia il food cost di una pasta in bianco (al netto di rivisitazioni gourmet) non lo voglio sapere, giusto per mantenere la calma ogni volta che la ordino per i bambini al ristorante.
Okay, mettiamo che oscilli tra i 40 centesimi e l’euro, proprio se lo chef vuole sollazzare i miei marmocchi con una trafilata al bronzo. Perciò io, secondo voi, quanto la dovrei pagare?
Ci vogliono pochi spiccioli per fare un piatto di pasta in bianco e ci vogliono due figli in età da prime cene fuori per scoprire che è questo il piatto su cui i ristoratori fanno in assoluto il ricarico maggiore. Inutile valutare la loro correttezza sfogliando la carta dei vini e lanciandosi in conti su percentuali e margini di vendita. Superficiale provare a dare un prezzo a un menu degustazione senza tenere conto dell’intera esperienza.
Statemi a sentire, amici e colleghi, giornalisti gastronomici di tutta Italia: se volete un vero metro di giudizio per stabilire l’onestà di un ristoratore, portate con voi un bambino piccolo. Io che lo faccio, ho una domanda da fare, a tutti quanti: ma quanto diamine devo pagare un piatto di pasta in bianco per mio figlio?
Va bene, va bene. Mi calmo, prendo un lungo respiro e faccio un passo indietro, giusto per spiegarvi che non sono solo una madre in preda a una quotidiana crisi di nervi.
Il fatto è che, per mestiere e per piacere, vado spesso al ristorante. E, per necessità o per diletto (ok, quasi sempre per necessità) porto i miei figli di due e cinque anni con me. Sull’argomento, e su quanto i ristoranti italiani di ogni livello, genere e tipologia siano generalmente ostili alle famiglie con bambini, ho già avuto modo di scrivere, scatenando un dibattito mica da ridere.
I miei figli sanno stare abbastanza quietamente al ristorante (tenuto conto della loro età, è ovvio): stanno seduti, non gironzolano per i tavoli, mangiano con la forchetta e stanno pure imparando a tenere il tovagliolo sulle ginocchia e a non pulirsi la bocca sulla tovaglia. Certo, forse sono un po’ più rumorosi del cliente medio, ma non so se su questo sarei pronta a scommettere. Eppure, una cosa l’ho capita.
I ristoratori non li vogliono i miei figli nei loro ristoranti, e tentano di farmelo capire facendomi pagare la loro pasta in bianco quanto un piatto gourmet.
Perché la mia esperienza è esattamente questa. Io vorrei pure pagare il giusto prezzo per la loro cena, facendo loro provare quanto di più buono c’è sul menu, ma la legge del contrappasso mi ha dato in sorte due pargoli per nulla sperimentatori in campo gastronomico. Dunque, ogni volta che usciamo (che sia in trattoria, in pizzeria o in un ristorante più o meno di livello), per evitare di sprecare cibo in piatti assaggiati e abbandonati lì con ingiustificato disgusto, cerchiamo di andare sul sicuro. E quindi: pasta in bianco per tutti.
Al momento del conto, però, mi accorgo che evidentemente loro ne sanno più di me, e hanno ordinato una prelibatezza dello chef. Almeno, a giudicare da quanto sto spendendo. Solo per citare le ultime esperienze: quattro euro in una trattoria. Cinque euro in un agriturismo gourmet. Ventotto euro per un piatto di pasta in bianco e uno di pasta con le vongole (ogni tanto, riusciamo a fare un upgrade) in un bel ristorante di livello. E no, nessuno di questi prezzi mi sembra adeguato (fatte le giuste proporzioni con il resto delle proposte nel menu, naturalmente), tanto più visto che non si trattava di una di queste otto versioni gourmet del primo più semplice del mondo.
Attenzione: qui non stiamo parlando di servizio, coperto o altre spese accessorie. I miei figli si siedono, mangiano, sbocconcellano pane e grissini, sbriciolano e magari richiedono anche una forchetta più del dovuto, visto che la prima potrebbe facilmente cadere dal tavolo. Perciò, come ogni altro commensale, pagano per questo. Ma poi, ordinano sempre e soltanto una pasta in bianco: forse qualcuno, prima o poi, dovrebbe tenerne conto.