La carbonara è uno stato della mente, e per quanto il suo successo mondiale ci induca a definirne una storia, ad individuarne un’origine nonché una ricetta ben definita, è attraverso le sue declinazioni “sbagliate” che se ne definisce l’essenza. Che si tratti di versioni popolari o carbonare gourmet, beninteso, come quelle che riportiamo oggi alla mente.
Cinque rivisitazioni di carbonara da fine dining, in particolare, sono quelle che secondo noi valgono la pena essere ricordate.
Uovo alla carbonara Joselito – Massimiliano Alajmo
Alle Calandre si proponeva pure una carbonara di uova di pesce, ma per l’occasione almeno il maiale l’abbiamo voluto mantenere. Anche perché in questa rivisitazione senza pasta si toccano praticamente tutte le corde che fanno esplodere gli integralisti in un coro di sonore bestemmie: panna e latte, ci sono; cipolla, presente; guanciale? Ok quello c’è, ma rigorosamente misto a prosciutto. Certo immagino che in questo caso anche il tradizionalista più intransigente possa concedere un punto a un patanegra, nello specifico di Joselito, produttore per cui Max ha elaborato la ricetta.
Carbonara “au Koque” – Marco Sacco
Da uno chef che ha portato suggestioni vietnamite sul lago di Mergozzo e accompagnato la bagna cauda alle banane, non potevamo che aspettarci una carbonara che ha visto un po’ di mondo: in questo caso il Piemonte, che non sarà così esotico ma non è nemmeno il primo posto che ci viene in mente pensando alla carbonara. Quindi per la pasta si opta per i tajarin, il prosciutto della Val Vigezzo opportunamente disidratato fa le veci del guanciale rosolato, e sull’uovo ci divertiamo anche noi commensali, con una salsa di tuorli, grana e un’idea di gin che saremo noi stessi a versare, dal guscio, sulla pasta. Un esempio di come la decontestualizzazione non sia per forza uno stravolgimento, che ha dato vita a un super classico di questo bistellato lacustre.
Fagottelli “La Pergola” – Heinz Beck
“Carbonara alleggerita” potrebbe sostituire l’inflazionato “ghiaccio bollente” sui testi scolastici negli esempi di ossimoro. Eppure, è esattamente l’idea che aveva in testa Heinz Beck quando ha pensato a questa ricetta, poi arrivata addirittura ad essere identificata con lo stesso ristorante da cui ha preso il nome, condotto dallo chef tedesco fino alle tre stelle. All’assaggio è tutto chiaro: la carbonara è lì, con la salinità del pecorino e un uovo lavorato con tecnica stellare, ma l’intensità è data dallo scoppio ritardato del ripieno del fagotto invece che dalla mallard aggressiva del guanciale, gestito invece con delicatezza astuta. Una punta di dolce data dalle zucchine e la chiusura compiuta del fondo di vitello danno l’internazionalità che serve a un piatto servito in un hotel come il Cavalieri; la vista su Roma dalla terrazza della Pergola lo rendono indimenticabile.
Negativo di carbonara – Antonello Colonna
Le versioni di carbonara a mo’ di pasta ripiena non sono solo appannaggio di chef internazionali trapiantati nella capitale, anche un grande interprete della cucina romana come Antonello Colonna ha pensato bene di approfittare dell’effetto esplosivo di un ripieno cremosissimo. Quello che dovrebbe stare fuori è dentro, e il vero colpo di classe è la “cremina” che condisce il piatto: né uovo (già abbondante all’interno), né panna, ma creme fraiche, a dare testura vellutata e avvolgente, un rinforzo caseario morbidissimo e alleggerendo il tutto con un po’ di acidità, forse uno dei temi meno affrontati nelle varie reinterpretazioni.
Carbonara – Arcangelo Dandini
Uno di quei nomi che vengono tirati per la giacchetta durante ogni carbonara day, e che non poteva mancare nemmeno qui. Un oste romano storico, discendente da generazioni di ristorazione romana, che ha impreziosito la sua tradizione con un’esperienza milanese alla corte di Aimo Moroni al Luogo di Aimo e Nadia. Un’influenza fondamentale e tangibile nel suo ruolo di trattore colto e pragmatico, che per primo ha spinto la scena gastronomica a confrontarsi con temi scottanti come l’evoluzione dell’osteria, e la carbonara portata alle estreme conseguenze. Dai soli tuorli, alla tostatura del guanciale, alla cottura “al chiodo”: se la carbonara romana moderna ha i connotati che tutti le riconosciamo, molto è dovuto al sor Arcangelo.