Piatto simbolo della cucina italiana, la carbonara è quel mix di sapori che porta in tavola pasta, pecorino, uova, guanciale e pepe. Il 6 aprile è universalmente conosciuto come il Carbonara Day e ovunque si alternano versioni, più o meno veritiere, del primo piatto forse più famoso al mondo. Le sue interpretazioni sono davvero tante, ma ce n’è una che è diventata icona non solo di uno chef e del suo ristorante, ma anche di un territorio: la Carbonara au Koque.
Carbonara au Koque
Nata ventinove anni fa la carbonara servita da Marco Sacco al Piccolo Lago di Verbania, due stelle Michelin, è del tutto particolare, non solo per il gusto, ma anche per l’impiattamento.
Il primo piatto qui abbandona lo spaghetto secco e il guanciale romano per trasformarsi in una portata di pasta fresca piemontese (il classico tagliolino) preparata con un’emulsione di burro di montagna della Val Formazza e acqua di cottura, a cui si aggiunge il prosciutto della Val Vigezzo tagliato al coltello e lasciato in mantecatura. Omaggio dunque al verbano, luogo in cui si trova il ristorante, e alle sue peculiarità. Al tavolo il piatto si completa rompendo il prosciutto disidratato, una cialda al latte, aggiungendo pepe nero e versando sopra ai tagliolini l’uovo amalgamato con grana padano, tuorlo, gin e crema di latte.
Marco Sacco
Classe 1965, Marco Sacco è considerato lo chef d’acqua dolce perché è cresciuto sulle sponde del Lago di Mergozzo e qui ha costruito la fama e il successo del suo ristorante due stelle Michelin (dal 2007) Piccolo Lago. Grande promotore della Val d’Ossola, è anche alla guida con Christian Balzo del ristorante Piano 35 che detiene una stella Michelin.
Prima della carriera da chef vanta un’esperienza agonistica come atleta di windsurf che lo ha portato a gareggiare anche in nazionale. Tra i prodotti del territorio, nella sua cucina non mancano mai i pesci di acqua dolce ed è lui il promotore della manifestazione Gente di Lago che da anni riunisce sulle sponde del Lago Maggiore chef, pescatori e addetti ai lavori con l’intento di far conoscere e valorizzare i pesci di laghi e di fiumi.
La carbonara nella storia
La storia vuole che pastori, boscaioli e carbonari (da qui il nome) portassero in montagna quando andavano a fare legna questa pasta mettendo nella gavetta appunto spaghetti conditi con uova, guanciale e pecorino. Si tratterebbe però di mera leggenda: va detto che la prima volta in cui la pasta fu associata all’uovo in un ricettario storico risale al 1773, nel Cuoco Galante di Vincenzo Corrado anche se, in questo caso, l’uovo serviva solo come addensante.
È del 1881 (quindi cento anni dopo) Il principe dei cuochi di Francesco Palma: qui si citano i Maccheroni con cacio e uova, e il gioco è quasi fatto. Per l’abbinamento con il guanciale, all’interno di un libro di ricette, occorre però far passare ancora un secolo: gli Spaghetti al guanciale (ma senza uovo) saranno citati nel 1949 dal Piccolo talismano della felicità di Ada Boni. Ed ecco che arriviamo al 1952, anno in cui viene pubblicata la prima ricetta della carbonara in una guida di ristoranti di Chicago (l’Armando’s) realizzata da Patricia Bronté. E con questo testo forse è spiegato il perché si racconti che fu grazie ai soldati americani se il bacon fu aggiunto al piatto e perché la carbonara venne conosciuta (e apprezzata) prima in America che in Italia. Nel 1954 il ricettario Italian food, stampato a Londra, parla di un qualsiasi formato di pasta a cui si aggiungono “ham, bacon or coppa (Italian bacon) tagliati a fiammifero. Insomma, la storia racconta di un piatto che rivendichiamo italiano, ma che ha avuto, con l’introduzione del bacon, una paternità per il 50% (che piaccia o meno) americana e di cui non esiste una versione originale, ma innumerevoli preparazioni simili ma mai uguali che spaziano da quella con il cognac di Tognazzi (1964) a quella con la panna di Gualtiero Marchesi (1984). Possiamo dire che è stato il tempo a codificare la versione che soddisfa di più il palato di noi italiani: ovvero quella preparata con spaghetti, guanciale, tuorli d’uovo, pepe nero macinato e pecorino grattugiato.
Carbonara e fine dining
Della Carbonara au Koque abbiamo appena parlato, ma all’elenco di quelle preparate dell’alta ristorazione potremmo aggiungerne sicuramente altre. Lo chef romano della porta rossa, Antonello Colonna, la prepara a Labico come una pasta ripiena e la condisce con creme fraiche per donarle una texture vellutata e avvolgente. Restiamo a Roma e trasferiamoci a La Pergola nel regno tristellato di Heinz Beck: in questo caso parliamo di una carbonara alleggerita servita come pasta ripiena, addolcita con zucchine e chiusa con fondo di vitello. Risalendo l’Italia verso nord ecco invece la versione di Massimiliano Alajmo alle Calandre di Rubano (Pd): in questo caso manca la pasta (sì avete capito bene), ma tutto il gusto della carbonara è racchiuso in un uovo dove ci sono panna e latte, guanciale, cipolla e prosciutto Patanegra firmato Joselito.