Mentre apro la porta a vetri del Bistrot di Antonino Cannavacciuolo mi ripeto come un mantra “lasciamolo carburare, è aperto solo da un mese”: io sono una comprensiva, mica una disfattista come quell’ardito Fabio P che su TripAdvisor paragona il nuovo locale di Novara a un pranzo in autogrill.
Anche noi ci eravamo già stati con il pepe in quel posto per arrivare prima degli altri: il Bistrot contava nemmeno 48 ore di vita e in effetti c’era qualcosa che non era andato proprio liscio.
Ma bisogna aver pazienza, mica nasciamo tutti imparati. E poi c’è la questione delle stelle Michelin.
Quanto può essere alta l’asticella delle aspettative se Antonino Cannavacciuolo, due stellone a Villa Crespi ad Orta, ci mette il nome e la faccia? Tanto, oserei dire.
Tanto da ripeterselo poco prima di entrare, ma poi riscoprirsi a scegliere un piatto di spaghetti al pomodoro e basilico, ricetta basica eppure potenzialmente sontuosa, segno inequivocabile che si vuole affrontare il mostro a cinque teste.
Sullo spaghetto non si scherza, lo sanno anche quelli che si nutrono di croccantini per cani.
Ad affievolire aspettative e asticelle c’è il mio conclamato amore per lui, Cannavacciuolo.
Eccolo lì, dietro al bancone del bar intento a parlottare coi suoi ragazzi: è bello come il sole, possente come un Dio greco, il testosterone si sente anche a distanza di sicurezza.
Mi piace. Mi è sempre piaciuto. Mannaggia quanto è bello (ah, come sono lontani i tempi in cui mi piaceva l’uomo emaciato e straziato dalla vita e dal rock’n’roll!)
Durante la conferenza stampa dove Antonino mio presenta il nuovo corso di cucina a distanza, mi ricarico di aspettative: “giuste le critiche sul servizio, avevo sottovalutato il mio nome e mi sono ritrovato nei primi giorni a far fronte a tanta, forse troppa gente“.
Ma ora, mi si dice, è tutto a posto: ora hanno riaggiustato il tiro, la ressa dei primissimi giorni è finita, ora va molto meglio.
Difficile sentir dire a uno chef che le critiche sono meritate: non siamo a Cucine da Incubo qui, siamo al bistrot di Cannavacciuolo.
E metteteci pure che è tutto molto carino: il posto, il personale giovane, i novaresi (che offrono caffè alle sconosciute).
Scusate, dicevamo lo spaghetto. In attesa del piatto topico assaggio un paio di antipasti, che non guasta mai.
Provo il polpo scottato, salsa alla luciana e tegola di riso al latte di capra. E’ la stessa manona possente del nuovo giudice di MasterChef a porgermi la portata: è lì, stampata sul piatto, a monito di tutti quelli che diranno “sì, ma tanto non cucina lui”.
E’ che lui lo zampino ce lo vuole mettere un po’ dappertutto, così, per non farvelo dimenticare.
Il polpo non è proprio “un burro” e la formina di riso non è certo indimenticabile.
“Vabbè, Carlotta ricordati che non sei a Orta. Non è un piatto da 30 euro, questo è il bistrot e gli antipasti sono in media sui 15 euro.” Tra l’altro, per essere un pre-qualcosa non è nemmeno poco (la manina inganna, fidatevi).
16 euro benissimo spese per la carne cruda di Fassona piemontese, Parmigiano e tuorlo d’uovo. Buona la carne, armonico il piatto, presentato bene e (anche in questo caso) porzione di tutto rispetto.
Tenetevi forte: ci siamo. Lo spaghetto era un po’ scotto. O meglio, non scotto nell’accezione da casa di riposo, ma di certo non era al chiodo e nemmeno al dente. Non so se dissimulare delusione con un mezzo sorriso o mettermi a piangere.
Alla vista era quello che mi aspettavo: nessun nido microscopico in stile Michelin, ma un bel piatto di spaghettoni. Niente braccino corto né con la porzione né col sugo. Nessun vezzo, chessò nemmeno la classica fogliolina di basilico fresco: semplici, spartani, monacali.
Solo che qualcuno se lo è dimenticato troppo tempo nell’acqua.
Tra l’altro il sugo è ottimo: mescola in bocca un pomodoro dolce che tradisce quella punta di acido che amo. Sì, vorrei piangere: come due minuti cambiano tutto, anche il valore di 13 euro.
Non mi consola nemmeno l’assaggio dei ravioli del plin al ragù napoletano e cremoso al Parmigiano.
Buonissimi i ravioli, ottima la consistenza della pasta (e allora vedi che si può?), goloso il cremoso anche se un po’ invadente.
Anche in questo caso la porzione giustifica ampiamente i 14 euro: a quel prezzo si mangiano troppo spesso piatti anonimi e forse anche più scarsi.
Menzione per i secondi piatti: l’agnello (tre tagli e tre cotture) con maionese di nocciole e rapa al burro merita; non eccezionale il baccalà (con castagne e cipollotto), ma se siete di quelli che mangiano anche dopo il pranzo di Natale e che si lamentano dei piatti con porzioni da modella anoressica, questo fa per voi.
Sì, ma io ho ancora in testa gli spaghetti.
Ora le annose questioni sono, nell’ordine:
Antonino mi perdonerà, dato che io sono segretamente innamorata di lui e non voglio rendermi antipatica?
Ma chi è lo scellerato che ha cotto gli spaghetti?
Ma non è che mi aspettavo troppo?
E’ troppo tornarci una terza volta, magari tra sei mesi?