Cannavacciuolo Cafè & Bistrot: Antonino Cannavacciuolo in versione bistrot elegante a Novara. Ci sono stato 48 ore dopo il via alle macchine di sabato 22 Ottobre quando, come in qualsiasi meccanismo, gli ingranaggi non sono ancora stati rodati. Metteteci poi le aspettative per ogni cosa che riguarda l’Antoninone nazionale, non più lo chef della mia lontana visita al Villa Crespi di Orta San Giulio, il ristorante che l’ha consacrato (2004), già formidabile ma ancora mediaticamente sconosciuto.
Inutile nascondersi che la tv in generale e “Cucine da Incubo” in particolare hanno proiettato su Cannavacciuolo un’attenzione vigorosa quanto le pacche che lo chef partenopeo assesta spesso.
E allora, la montagna Cannavacciuolo ha partorito un topolino? Me lo sono chiesto a mente fredda e pancia vuota. Al netto dell’entusiasmo per la riuscita ristrutturazione del locale su tre piani con spettacolare terrazza affacciata su Piazza Martiri della Libertà, adiacente il mitico Teatro Coccia di Novara. E dopo aver appagato la curiosità di osservare una formula praticamente “H24”, con il Cafè & Bistrot aperto da colazione a cena passando per pranzi, spuntini e aperitivi.
Facendoci largo tra i curiosi che gravitano intorno al portico d’ingresso chiedendosi attoniti se si tratta del nuovo locale di “quello chef della TV”, entriamo al Cannavacciuolo Cafè & Bistro: il primo piano è dominato da un bancone imponente con alle spalle la cucina a vista, restringendo lo spazio per i tavoli in apparenza disseminati nello spazio elegante senza un ordine preciso.
Facciamo valere la prenotazione per 4 ottenuta trionfalmente via email e seguiamo un cameriere al secondo piano, come il primo interdetto ai curiosi (“solo i prenotati, prego”), e adibito a sala ristorante. Ma con in più il fascino della terrazza.
L’ambiente che sembra uscito da una rivista d’arredamento aggiornata alle ultime tendenze rilassa e convince: confortevole, elegante con tocchi vintage legati al mondo del teatro (siamo pur sempre accanto a un teatro storico), ma nell’insieme molto contemporaneo. Gli spazi sono contenuti ma ben utilizzati.
Capitolo tovagliati: tovaglietta brandizzata Cannavacciuolo, tovagliolo e posate in facsimile titanio accompagnate da un piccolo menù alla carta, chiaro, pulito, preciso, con riferimenti al mondo dell’opera.
Manca il menu degustazione, che considerato il carisma esercitato dallo chef il vostro cronista avrebbe ordinato volentieri, per il resto c’è solo l’imbarazzo della scelta. Anche non volendo lo sguardo cade subito sui prezzi, decisamente abbordabili.
Niente piatto di benvenuto dello chef che avrei dato per scontato: iniziamo con una deliziosa crema di burrata, scarola alla partenopea, alici fritte e cialda di polenta.
Seconda portata: costolette di vitello, maionese di nocciole e rapa al burro. Dove il sapore acidulo della maionese, un capolavoro vero di pastosità, potenzia la carne cedevole come burro, creando una stuzzicante contrapposizione.
Arriva il dolce: zuppetta di cachi, basilico, cremoso al mascarpone. Zuppa versata al tavolo sopra il resto degli ingredienti armonizzati in sapore raffinato e tenue. Dessert di classe.
Tra gli altri piatti serviti al tavolo: polpo scottato, salsa alla luciana e tegola di riso al latte di capra; risotto allo zafferano, midollo di bue e gremolada di limone; guancia di vitello purea di sedano rapa e caffè; cioccolato frutto della passione e cardamomo. Tutti, nessuno escluso, confermano il blasone culinario ampiamente meritato da Cannavacciuolo.
Resta qualche ombra legata per lo più al servizio, dimostrazione evidente che gli ingranaggi della macchina sono ancora da oliare.
Nell’ordine: due bottiglie di Prosecco stappate con il medesimo risultato: l’effusione gassosa innaffia il pavimento e le giacche dei commensali (errare è umano, perseverare “cannavacciuolico”); il nome di un dolce dimenticato dalla cameriera che s’informa ad alta alta voce (“Come si chiama questooo“); le mancate spiegazioni sul pane di segale e avena peraltro ottimo, un piatto dimenticato nel conto finale.
A voler essere cattivi uno potrebbe osservare che l’andirivieni di Cannavacciuolo tra sala e e cucina, tra un Prosecco versato e un dolce dimenticato, ricorda certi dietro le quinte di “Cucine da Incubo”, ma è un pensiero fugace subito smorzato dallo splendore dei piatti portati in tavola.
Siamo ai prezzi: ineccepibili. 183 euro in quattro per otto piatti, quattro dolci, tre calici di vino, due bottiglie d’acqua e quattro caffè, sono poco più di 45 euro a testa. L’assenza del coperto è la ciliegina sulla torna di un conto che rinfranca.
Anche in ragione di questo, il Cannavacciuolo Cafè & Bistro vale indubbiamente la visita. Ma se Dissapore si picca di essere accanitamente onesto, va riconosciuto che al netto dell’ingombrante cognome svettante nell’insegna, parliamo di un buon locale, originale e curato, ma come ce ne sono altri.
Per ora.
Torneremo presto, statene certi, per seguirne la messa a punto.
Addìos!