Quando Antonino Cannavacciuolo aprì il suo Cannavacciuolo Bistrot a Torino, tre anni fa, scatenò il panico in città. Un nuovo ristorante dello chef più celebre d’Italia, nella chicchissima precollina, era una notizia di quelle in grado di fare rumore. Oggi ci torniamo, con calma, per una delle nostre recensioni.
Di Torino, si diceva. Una città non facile, che accoglie le novità con diffidenza, soprattutto quando stridono con la sua duplice anima di città operaia mista alla sua storica regalità sabauda, tenuta però ben nascosta, nella generale convinzione che esibire la ricchezza sia sintomo di cafonaggine. Dunque, quella del Bistrot di Antonino Cannavacciuolo era una sfida vera, di quelle capaci di far storcere il naso sia al pubblico (per un nome troppo in vista, e un ristorante troppo pretenzioso) sia alla critica (per una proposta troppo convenzionale e pop).
Il Bistrot di Cannnavacciuolo: gli esordi e la stella
Così invece non è stato, almeno in parte. Perfino il torinesissimo pubblico ha scalato interminabili liste d’attesa per accaparrarsi un tavolo al bistrot, già all’indomani della sua apertura. E la critica, seppur spesso tiepida, ha dovuto scendere a patti con se stessa quando, nel 2019, lo chef Nicola Somma – braccio torinese dello chef di Villa Crespi – è stato uno dei tre nomi che hanno fatto finalmente brillare la città di nuove giovani stelle Michelin.
Perché, al netto di un conto non proprio economico per una città abituata a proposte gastronomiche top ma dalla spesa contenuta, il bistrot di Cannavacciuolo si presenta come la perfetta costola del ristorante bistellato del suo creatore. Un luogo che fonde Nord e Sud, con una netta prevalenza della seconda zona geografica nelle ispirazioni, nelle porzioni, ma soprattutto nei sapori, sempre decisi, spinti e ricchi, come tradizione partenopea vuole.
Il menu e i prezzi
Ma facciamo un passo indietro: siamo andati a provare il bistrot di Antonino Cannavacciuolo in un soleggiato giovedì invernale, a pranzo, senza farci scoraggiare dall’assenza di un menu prandiale, pur sapendo che la proposta degustazione (ce ne sono due, entrambe con sei portate, una a 90 e l’altra a 100 euro) sarebbe stata troppo a quell’ora perfino per noi. Ordinando alla carta si spende, invece, una trentina d’euro a piatto, 18 euro per i dessert.
Un menu che (affiancato a una proposta di vini dove ancora una volta è il Sud Italia a predominare), a un primo sguardo, appare già goloso. Materie prime più o meno nobili, ma sempre ricche (anche di gusto), come l’astice, il foie gras, le animelle, il piccione. Proposte garibaldine che tentano di costruire un ponte tra Alpi e Costiera, con piatti come la Fassona con cremino di bufala, tartufo nero e scorzonera, o la Capasanta con funghi e nocciola, o ancora il Piccione con kumquat e burrata. Il tentativo è interessante, anche se non si registrano particolari guizzi creativi nei piatti proposti: a noi un po’ mancano, vorremmo testare abbinamenti più arditi e inusuali, ma non è questo – probabilmente – l’intento di un posto come il Bistrot, che ha un’identità forte e ben precisa alle spalle, e regala ai clienti la promessa di una cucina confortante, piena, in qualche misura familiare.
Come si mangia
Se questo è lo scopo, è pienamente raggiunto, già dagli amuse bouche, riconoscibili a chiunque abbia messo piede per più di una volta in Campania, con qualche piccolo omaggio al Piemonte. Su tutti, ha questo intento la montanara con salsa al pomodoro e parmigiano, una pallina di pizza fritta che è l’emblema del comfort food partenopeo. Forse non esattamente l’inizio che ci si aspetta di trovare in una tavola blasonata, ma una di quelle cose che è impossibile non mangiare con sommo gusto. Poi, il biscotto con pasta briseé, salsa al cavolfiore e pistacchio, il tacos con ragù napoletano di costine di maiale, il cubo di peperoni con salsa d’acciuga e polvere di oliva nera e il fungo chiodino con crema di sedano rapa e tuorlo d’uovo marinato.
Procediamo con le ordinazioni: Linguina di Gragnano con tartufi di mare, bergamotto e finocchietto e – a seguire – Triglia con salsa di pollo e radicchio per me e tonno vitellato con maionese di bottarga (un must per chi viene alla corte di Nicola Somma per la prima volta) e Ravioli di gamberi, mizuna e pecorino per chi mi accompagna.
Un’ordinazione, ne conveniamo, rassicurante: avremmo potuto dirigerci verso i piatti più complessi del menu, per saggiare la capacità di osare dello chef, ma abbiamo scelto quelli che ci sembravano essere i piatti più rappresentativi di una cucina che, come dicevamo, ci sembra strizzare l’occhio alla pancia del pubblico, prendendolo per la gola.
E noi per la gola ci siamo fatti prendere, apprezzando il tonno vitellato, che avevamo già assaggiato in passato e che, al netto di un po’ di confusione iniziale in bocca, lascia poi la piacevole sensazione di un piatto riuscito e appagante.
Buoni i ravioli di gamberi (dove forse il pecorino è un po’ invadente, ma di nuovo la spinta sull’acceleratore del gusto pare essere la cifra distintiva della cucina), buona la linguina, buonissima la triglia, altra firma riconoscibile della mente di Cannavacciuolo e della mano di Somma. I due paiono dunque viaggiare all’unisono, e il giovane Nicola Somma mette a disposizione della causa le sue capacità, interpretando perfettamente l’idea di cucina dello chef di Villa Crespi.
La sala
Su tutto regna una sala impeccabile. A dispetto di un ambiente dai toni neutri e dall’aspetto un po’ freddo, al Cannavacciuolo Bistrot si viene accolti in pieno spirito partenopeo. Sorrisi, qualche parola simpatica, e un’attenzione al cliente da manuale. A fronte di ordinazioni sfalsate (un primo e un secondo per me, un antipasto e un primo per il mio commensale) è stata, ad esempio, cura della cucina non lasciarci a guardare un piatto vuoto mentre la persona di fronte a noi mangiava la sua portata, e ci è stato portato a turno un assaggio che ci permettesse di accompagnare rispettivamente l’antipasto dell’una e il secondo dell’altra. Una raffinata attenzione comune nei ristoranti di un certo livello, ma sicuramente non scontata.
L’atteggiamento accogliente del personale – a volte perfino poco adatto al mood sabaudo di questa zona della città – sdrammatizza l’eleganza di un luogo che potrebbe mettere non troppo a proprio agio alcune tipologie di clienti, e conferma la sensazione che il bistrot di Cannavacciuolo (così come gli altri locali del suo format) sia un luogo pensato per accogliere e accontentare un pubblico più ampio dei soli amanti dell’alta gastronomia. Uno stellato fondamentalmente e intrinsecamente pop, per la tipologia di proposta come per l’atmosfera generale, che forse non manderà in visibilio chi cerca innovazione gastronomica e ricercatezza tecnica ma che di sicuro è in grado di solleticare le papille gustative del grande pubblico che ne affolla i centralini telefonici alla ricerca di un tavolo.
Informazioni
Cannavacciuolo Bistrot Torino
Indirizzo: Via Umberto Cosmo, 6 – Torino
Sito Web: www.cannavacciuolobistrot.it
Orari: Lunedì dalle 19.30 alle 23.00, Dal martedì al sabato: dalle 12.30 alle 15.00 e dalle 19.30 alle 23.00, domenica chiuso
Tipo di cucina: à la Cannavacciuolo
Ambiente: formale
Servizio: calorosamente partenopeo