Mannaggia. Dispiace un po’ iniziare una serie di recensioni delle pizzerie migliori di Torino con una stroncatura. Anche perché di napoletana classica trattasi, peccato. Ma quando Dissapore chiama, il partenopeo adottato sabaudo risponde. E va a mangiare la pizza dove dice il capo. Cammafà.
Il format
Cammafà a Torino è abbastanza un’istituzione, sia per ragioni storiche che di diffusione. Il primo locale ha aperto nel 2004 (a opera del lucano Giovanni Cicerchia), ora in città ce ne sono ben 4, dislocati tra centro e altri quartieri. Noi abbiamo provato quello di San Salvario, la zona più viva della città right now. Non è una catena ma poco ci manca, come si vede da tante cose.
Ah, a Napoli “c’amm’a fà” significa che dobbiamo fare, cosa facciamo, di solito si dice per invitare il/gli interlocutori a darsi una mossa, se la frase è interrogativa, o viceversa per esprimere rassegnazione se priva di punto interrogativo.
L’ambiente e il servizio
Il posto è grande, 4 o 5 sale disposte a ferro di cavallo. Tavoli di legno (con tavolate che volendo arrivano anche a 25 posti), tovagliette di carta, un numero di coperti certamente a tre cifre. L’ambiente nelle sale che affacciano su strada con ampie vetrate è modernamente anonimo; nelle stanze interne si sposta sul partenopeo kitsch, con finto balconcino del vicolo e panni spasi. Gran pienone già dalle 20 di un giorno infrasettimanale; il tutto come dicevamo si riverbera sull’impostazione del servizio e dell’organizzazione.
Che le ordinazioni vengano prese di corsa senza neanche guardarti in faccia ci può stare, è coerente col format. Che arrivando con 25 minuti di ritardo rispetto all’orario di prenotazione poi ti tocchi aspettarne altri 25 per sederti anche, tutto sommato, per il principio del concorso di colpa. Ci può stare pure che se non ordini subito (ma eravamo seduti da 30 secondi) poi il cameriere ripassi dopo un quarto d’ora. E infine, ci può stare che ci sia un intoppo nella trasmissione della comanda e l’antipasto arrivi dopo 40 minuti, con tante scuse. Ma poi però la pizza deve arrivarti a stretto giro, e non passare dietro a quelli che si sono seduti un’ora dopo di te (relativizzo l’esperienza: tutti gli altri tavoli attorno al nostro non hanno avuto particolari problemi, serata sfigata per noi, perciò ci ho messo la tara; ma fino a un certo punto). E soprattutto se ordini la seconda birra per due volte a due persone diverse, non può non arrivarti proprio; in particolare poi se ogni volta che passava un cameriere ti lanciava un “tutto bene tutto bene?” o un “arriva arriva tutto subito”, segni di ansia più che di premura.
Il menu e i prezzi
La proposta è napoletana superclassica con qualche curiosità. La sezione antipasti per esempio è prevalentemente dominata dai fritti. Le pizze sono tante, saranno 25: abbastanza standard, anche nel naming (spicca un “Ardente” al posto del solito Diavola), con qualche azzardo: vediamo passare una specie di margherita con polpette, che non era nel menu ma nelle pizze del giorno; vediamo che nella Napoli le alici vengono servite a parte in una tipica lattina ovale; noi prendiamo una Ciccioli. I prezzi sembrano medio-bassi, dai 5 euro della marinara (ormai…) ai 9,50-10 di quelle più ricercate.
Carta dei vini e delle birre che lascia perplessi. Mi spiego: ci sono 5 o 6 birre da supermarket a prezzi stracciatissimi, e poi le proposte del birrificio San Michele con ricarichi invece altini. 2,5 euro per una lager industriale contro 6-8 euro della birra artigianale (sempre da 33 cl): è un chiaro invito a non bere craft.
Ancora più surreale la pagina dei vini: poche bottiglie, con nomi abbastanza seri (Pescaja, Tramin, Astroni, Tormaresca) e prezzi dai 14 ai 34 euro – insomma roba che difficilmente mi vedo ordinare dalla comitiva di 25enni che mi pare il target del posto.
L’antipasto di Cammafà
Abbondante, sicuramente. Tutte le porzioni lo sono. L’antipasto che prendiamo è uno dei due misti, Ass’ e Baston, ed è anche molto vario. I fritti sono ottimi: il crocchè è croccante fuori e scioglievole dentro, le mini montanare sono lievitate e cotte alla perfezione, giusto il calzoncino con la mozzarella è un po’ crudo all’interno ma con i ripieni è difficile, si sa. Poi c’è la chicca, le melanzane sott’olio, che non sono quelle di mia zia Anna ma si difendono. E tre fette di prosciutto crudo, abbastanza incongrue. Da qui in poi però scendiamo a precipizio.
La fresella col pomodoro è chiaramente una frisa pugliese che del pane biscotto napoletano ha ben poco, e molto probabilmente è di supermercato. Incastrata in questa mezzaluna c’è un quarto di bocconcino, come se fosse uno spicchio di pera (un quarto di mozzarella? Ma serio?). E poi una ricottina minimignon, ancora nella fuscella di plastica ché fa chic (?). Vorrei potervi dire che non erano male, come mi è sembrato, ma purtroppo sui due latticini era cosparsa un’erba secca che voleva essere origano ma forse era addirittura maggiorana – se non il famigerato mix provenzale.
(La mia commensale sabauda, guardando tutto l’insieme: “Certo che solo a voi napoletani piacciono sti paciughi”. Io, serissimo: “Guarda che a Napoli se metti qualsiasi cosa su una bufala, te la tirano addosso letteralmente”)
La pizza di Cammafà
Margherita e Ciccioli la nostra scelta, il classico e lo sperimentale. La pizza in generale è larga, non proprio a ruota di carretto ma sborda leggermente dal piatto. Sottilissima al centro e con cornicione pronunciato, l’impasto come si era già visto con le paste cresciute fritte è ben fatto. Cottura ok, qualche inevitabile bolla di cornicione bruciacchiato, ma bilanciamento perfetto tra interno ed esterno, il che nella napoletana classica – che sta poco in forno ad altissime temperature – non è facile, come noto.
Ora però. La margherita ha qualcosa di strano nel pomodoro, una punta acido o forse semplicemente poco cotto. Il fiordilatte è abbondante ma forse un po’ spesso: nella seconda metà, a pizza non più bollente, tende a ricompattarsi. Tutto sommato leggermente sotto la sufficienza. Ma è la Ciccioli che è un disastro. Vorrebbe essere la versione destrutturata del ripieno classico della pizza fritta: fiordilatte, ricotta, pepe e appunto cicoli di nzogna. Trattasi dei classici cubetti che sono il sottoprodotto della spremitura della sugna (che non è precisamente lo strutto, lo sapete vero?).
Ora come potete vedere questi sono tutti tranne che ciccioli: sembrano piuttosto fette di pancetta cotta e pressata, par’ iss’, ma nun è iss’. E poi: i mucchietti di ricotta sono messi in cottura, e in forno si sono spappolati e ri-ricotti (quante volte si può ricuocere una ricotta?). Il fiordilatte infine lascia ampi spazi, dove l’impasto si è bruciato. Ah e c’è pure un buco.
I dolci di Cammafà
Dolci al cucchiaio e babà (provati in altre occasioni) senza infamia né lode. Prendiamo la zeppola: l’impasto è talmente secco (di solito il problema è il contrario, che assorbe umido dalla farcia e si sfalda) che mi fa pensare di stare assaggiando un semilavorato. Ben 4 amarene decorano altrettanti ciuffetti di crema, ma soprattutto è sparso a piene mani uno sciroppo di amarena così invasivo e metallico che finché non mi sono lavato i denti le mie papille hanno continuato a gridarmi in bocca: Fabbri! Fabbri! Fabbri!
Il conto
A fronte di tutto ciò (un solo antipasto, due birre, una pizza normale e una strana, un solo dolce) non s’è pagato neanche poco. 20 euro a testa (ci saremmo facilmente arrivati con due caffè) non mi pare il classico deal da studente: mangio tanto-spendo poco-chissenefrega della qualità. Solo a Torino un posto del genere può avere successo, ho detto alla mia commensale, senza offesa.
Day after
Un giorno tentavo di parlare di digeribilità con un mio amico pizzaiolo: “Se la pizza è buona, la mattina dopo ti svegli… ti svegli…”. E lui: “Se la pizza è buona il giorno dopo ti svegli!”. Come il pane non si deve tagliare finché non si è raffreddato, così la pizza non si può giudicare fino al giorno dopo: di notte possono sopraggiungere pesantezza e sete. Ecco, in questo caso niente di tutto ciò. A riprova che come ho detto, almeno l’impasto è a regola d’arte. Ma il resto, lasciamo perdere.
Informazioni
Cammafà
Numero di telefono: dipende dalla sede
Indirizzo: Via Saluzzo 35/B, Torino
Orari di apertura: 19.30
Sito Web: ?
Tipo di pizza: napoletana classica
Servizio: ansioso ma disordinato
Ambiente: neopartenokitsch