Mesi fa dedicai un Buonappetito ai “ristoranti borghesi” che tutti stiamo, erroneamente, trascurando. Per “ristoranti borghesi” intendo locali eleganti, curati, garbati e che fanno cucina di tradizione perfetta, comme il faut.
[Salviamo il ristorante borghese dall’estinzione: Il buonappetito]
È una tipologia che adoro ma che vive un momento di enorme difficoltà: da un lato chi è disposto a pagare conti corposi ormai cerca prevalentemente creatività ed effetti speciali; dall’altro chi vuole tradizione è convinto di potersela cavare sempre con venticinque euro, “diamine, è un piatto da trattoria!”
Invece, tra la trattoria a basso costo e il ristorante di ricerca ancora sopravvivono questi posti meravigliosi, questi tesori nascosti. Ebbene: ieri sono finito proprio in uno dei suddetti.
Si chiama Ristorante Cacciatori, è a Cartosio in provincia di Alessandria e lì, tra i boschi, dà da mangiare ai suoi clienti dal 1818 (almeno: è stata ritrovata una Regia Patente di quell’anno, ma forse era già in attività).
[Può un ristorante arrivare ai vertici senza PR?]
Si chiama Ristorante ma è una casa: Massimo Milano accoglie gli affamati come amici, Federica Rossini mette su il coniglio alla cacciatora al momento, sulla vecchia stufa a legna, “le parlo, se no non lavoriamo bene assieme”, ride.
Prima che ci fosse l’autostrada A26, i lombardi che andavano in Liguria passavano tutti di qua: erano commercianti, turisti e anche artisti, e sono questi ultimi che hanno lasciato le bellissime tele che arredano il locale appena riattato con garbo. Pareti carta da zucchero, pavimento di legno grezzo, chiaro: pare a propria volta di essere in un dipinto impressionista.
Ma quello che impressiona è la cucina.
Per la semplicità: salame, fassona battuta, peperone ripieno, zucchina ripiena (alla ligure: il mare è a 39 chilometri), frittata di erba di San Pietro, ravioli burro e salvia, tagliolini al pomodoro fresco, pollo alla cacciatora, gelato alla frutta, crostata con marmellata di albicocche, mele, pinoli e uvetta. E per la precisione: ogni singolo piatto è la versione migliore che ne abbiate mai mangiata, semplicemente perfetta (per la cronaca: il menu costa 50 euro, alla carta si spende anche meno).
Il tutto abbinato ai vini giusti: ieri abbiamo bevuto Billecart –Salmon (la maison di champagne nel 2018 compie duecento anni proprio come I Cacciatori) e il timorasso di Walter Massa, che era a tavola con noi, che a queste tavole si beve dalla prima vendemmia, non è arrivato con la moda.
Come ha detto il critico de L’Espresso (e amico) Marco Trabucco: “è un posto dove vieni a ritarare il palato, a ritrovare i gusti come devono essere.” È proprio così.
Chi giri per grandi ristoranti dovrebbe tornare periodicamente in un ristorante Cacciatori per ripassare i fondamentali.
E chi vada a mangiare fuori una volta ogni tanto dovrebbe partire da questi locali prima di gettarsi nella (spesso presunta) avanguardia: senza conoscere Bach, non si capisce il jazz.