Di Ca’ Apollonio Heritage vi abbiamo parlato qualche mese fa quando il ristorante, che si trova a Romano d’Ezzelino, nel vicentino, ha ottenuto – primo in Veneto – il riconoscimento di “ristorante sostenibile” secondo la certificazione internazionale CER – Care’s Ethical Restaurant e volta proprio a misurare, secondo una serie di parametri, la sostenibilità di un ristorante. Spinti dall’interesse, siamo stati a provarlo.
Il contesto
Il ristorante si trova all’interno di una dimora storica risalente al XVI secolo sottoposta ad un intervento di ristrutturazione e parte di una struttura più ampia, che comprende, oltre all’offerta ristorativa (peraltro sdoppiata in un bistrot e nel ristorante fine dining) un’azienda agricola biologica, 18 ettari vitati a vitigni resistenti PIWI, un orto di un ettaro, frutteti, uliveti, cereali, piante monumentali e siepi mellifere. Alla dimensione ristorativa e agricola, si aggiunge quella dell’ospitalità facendo di Ca’ Apollonio il primo Boutique Hotel del Veneto a seguire i protocolli “CasaClima R” e “CasaClima Hotel”.
L’ingresso nella villa consente già di comprendere l’idea sottesa: garantire un’offerta raffinata, non strillata, che sembra andare oltre le ultime tendenze in fatto di quiet luxury, aprendo all’ospite diverse possibilità, senza che ci si senta in soggezione. Il bistrot è accessibile sia come spazi e arredi, sia come offerta e prezzi. Giustamente sottratto ad una vista immediata è invece l’ingresso alla sala del ristorante “Gourmet”, come definito, al quale si accede in modo scenografico ma del tutto privo di teatralità o affettazione dopo aver attraversato un breve corridoio e oltre una porta a vetri.
Due le sale, una principale, le cui finestre danno sul parco, ed una interna, più riservata. I colori sono fedeli alla sobrietà: beige e grigio, in tonalità diverse, sono usati senza spegnere la luminosità, ma piuttosto per valorizzare alcuni elementi d’arredo, come il legno (quello dell’ampio tavolo nella seconda sala) o il soffitto con affreschi d’epoca. Dettagli da cogliere: la presenza di tovaglie e i fiori freschi al tavolo, che riportano immediatamente alle nature morte dell’arte fiamminga.
La cucina
Autodefinita la “cucina dei 50 passi” (quelli tra la tavola e gli orti), quella di Ca’ Apollonio è una vera e propria tavolozza agricola, che non confonde il cliente con riferimenti a contesti bucolici in cui gli aggettivi possessivi si sprecano (“il nostro orto”), né millanta ciò che non c’è. Qui l’orto esiste, si vede, è di un ettaro e quando la sala presenta i piatti usando aggettivi possessivi (“il nostro pane”), lo fa non solo perché il prodotto è auto-prodotto, ma anche perché le materie prime (l’80%) arrivano dall’orto. La cucina è affidata ad Alessio Longhini, asiaghese che ha lavorato con Norbert Nierderkofler e il cui passaggio alla Stube Gourmet dell’Hotel Europa di Asiago aveva visto assegnare la stella Michelin al ristorante.
La carta prevede due menu degustazione: Familiarità, che racchiude i piatti più rappresentativi dello chef (6 portate, 110 euro), e Congiunzione, più istintivo (9 portate, 160 euro). Prevista la possibilità di pairing in entrambi, con abbinamenti particolarmente interessanti non solo in ambito enologico (tè e sidro, per esempio). La sala è condotta con competenza e professionalità, priva di freddezza.
I piatti
Il menu Familiarità si apre con il consueto benvenuto, che unisce raffinatezza estetica e golosità, quest’ultima magistralmente rappresentata da un rocher di cioccolato al lampone e nocciole, ripieno di paté di fegatini, che potrebbe tranquillamente attraversare il menu e arrivare ai dessert. Colpisce il servizio del pane: non solo perché è presentato come portata all’interno del menu, assegnandogli un’importanza che va oltre le roboanti pagnotte intere, non solo perché servito a fette, dosandolo esattamente come si farebbe con un piatto, ma soprattutto perché proposto quasi come “una verticale” e in ottica anti-spreco: alle fette, si affianca infatti un “gelato” e il kvass, che guarda all’Est Europa. La vera firma arriva con Il Giardino, piatto stagionale in cui – in questo caso – è tutto l’autunno a parlare, in un inno al vegetale che vede zucca, semi, frutta secca e verdure usati in diverse consistenze e colori. Su tutto una cura maniacale e un effetto magnetico alla vista. Coraggioso e inedito lo speck di ombrina con l’affumicatura a dare la consistenza della carne, e note fresche in sostegno dal cetriolo.
Il risotto con friggitello e ribes fermentato guarda sia all’estetica che al sapore: il consiglio è di spingere ancora un po’, portando il palato ad accendersi esattamente come la vista di fronte agli arancioni e ai viola. Elegantissimo il merluzzo (in versione pil-pil rivisitata), con un buon contrasto dato dal limone salato e dalle bietole croccanti. Prosegue il filo rosso dell’utilizzo senza sprechi: ecco allora una frittella ripiena di baccalà mantecato e soprattutto un assaggio delle sue trippe, in cui si ritrova felicemente la mano che aveva firmato il risotto assaggiato anni fa. In chiusura due dessert manifesto, sia di maestria che di visione. Il primo è un riccio di meringa ripiena di crema di susina fermentata (perfetto il contrasto tra dolcezza e toni aciduli) ed il secondo, l’Ape, una cella di alveare che racchiude, in una declinazione di panne cotte, kefir e miele, senza altri zuccheri e con un’ape che pare un merletto, un vero inno alla biodiversità e a chi la rende possibile.
L’augurio che facciamo a Ca’ Apollonio è che la cucina possa consolidarsi ancora di più e che la visione sottesa al progetto possa essere compresa (magari proprio dagli ispettori della Guida Michelin, che nemmeno lo hanno degnato della “stella verde” dedicata alla sostenibilità), constatando come la sostenibilità non è forma ma sostanza e che orti e viti non sono un simulacro usato per impressionare ma spazi e strumenti di lavoro.
Opinione
Ca’ Apollonio Heritage è l’espressione gastronomica di un progetto di ospitalità più ampio, frutto di un restauro di una villa veneta del XVI secolo e combinato alla volontà di realizzare un’azienda agricola biologica, con ettari vitati a vitigni PIWI, oltre a orto e frutteti biologici. La cucina risponde a questa logica, con ingredienti per la maggior parte autoprodotti: se il riferimento alla stagionalità è scontato, quello ad una sostenibilità reale e non di facciata lo è invece molto meno. I piatti convincono e sono il risultato di una visione dalla lunga prospettiva.
PRO
- Estetica curata nei minimi dettagli
CONTRO
- Tempi di servizio delle portate un po' rilassati