Se c’è una caratteristica che hanno i Bros’ di Lecce, i bellocci un po’ tamarri che hanno il grande merito di aver riportato l’attenzione della Guida Michelin sulla Puglia, è probabilmente quella di essere disturbanti. In quello che dicono, in quello che fanno, in quell’aria strafottente che hanno nelle loro foto e soprattutto nella loro cucina. Una cucina che li rispecchia perfettamente, da questo punto di vista: tutto quello che in passato ho assaggiato da loro sembrava nato per provocare, per inneggiare a un assoluto di cui forse non siamo nemmeno troppo convinti, ma chissenefrega, noi siamo noi e nel nostro ristorante facciamo così.
Quella sicumera tipica dei giovani belli e di successo, si diceva, è proprio la lente attraverso cui il fenomeno dei Bros’ (perché per tanti versi di fenomeno si tratta – vedi alla voce 91 mila follower di Isabella Potì) acquista un suo significato.
E allora perché, di fronte a questo loro profilo ben definito, ci stupiamo che qualcuno possa aver trovato irritante una cena da loro? Noi in realtà non ci stupiamo più di tanto, ma lo fa il resto del mondo. Che in queste ore, sui social, sta discutendo proprio di questo, dopo che qualcuno ha definito i Bros’ il “peggior ristorante stellato di sempre”.
“Qualcuno” – senza volontà alcuna di essere offensivi, sia chiaro – è probabilmente la definizione giusta di Geraldine DeRuiter, blogger anche di discreto successo (Time ha incluso Everywhereist tra i migliori blog del 2011, ma il suo palmares, oggettivamente, si esaurisce più o meno qui, con anche un seguito sui social trascurabile, per quanto esponenzialmente aumentato nelle ultime ore). Eppure, la loro stroncatura sul ristorante di Floriano Pellegrino e Isabella Potì ha fatto un rumore inaspettato, diventando virale in un paio di giorni.
Le motivazioni di un simile tam tam possono essere diverse. La prima, permettetecelo, è che una recensione negativa di un ristorante stellato – per di più famoso – fa incredibilmente parlare il mondo gastronomico, in un contesto in cui gli chef vengono portati a prescindere su un palmo di mano, senza spazio per contestazioni di sorta (ce n’eravamo accorti anche noi, quando facemmo le pulci a un’esperienza non entusiasmante all’Osteria Francescana).
Sarà un po’ triste, forse, ma dovrebbe far riflettere. C’è poi da dire che l’altra incredibile capacità dei Bros’ è quella di monetizzare tutto ciò che toccano: non a caso, come fa notare Floriano Pellegrino nella sua enciclopedica ma sagace risposta ai commenti della blogger, il loro “Limoniamo”, il contenitore a forma di carnosissima bocca da cui fuoriesce uno dei loro dessert, in uno strano mix di sensazioni tra il ripugnante e il sexy, è andato esaurito in poche ore sul loro shop online, dove è furbescamente in vendita un mondo di gadget legati alla loro immagine. Eppure, Geraldine DeRuiter ne aveva parlato come di una scelta orrenda, che pareva ispirata a un horror di serie B dell’Est Europa, e anche Helen Rosner, giornalista gastronomica del The New Yorker, aveva ritwittato l’immagine del dessert, definendola “sconvolgente” (con accezione negativa, diremmo), contribuendo notevolmente alla viralità della notizia.
In ultimo, tra le motivazioni dell’incredibile successo di una stroncatura qualsiasi, c’è il fatto che l’articolo della blogger fa sorridere in molti suoi passaggi, segno che la scrittura gastronomica ha probabilmente più bisogno di ironia di quanto non si pensi.
La recensione
“Non era una cena, era solo una serata a teatro”, esordisce nel suo pezzo Geraldine DeRuiter, paragonando la sua esperienza ai Bros’ a quella di “una sorta di teatro di improvvisazione” “molto, molto costoso”, in cui ti siedi e ti aspetti che “qualcuno sollevi una cloche di metallo svelando un vassoio che rivelerà una singola pillola blu o rossa”. Senza che tutto questo abbia davvero un senso.
La blogger è andata a cena dai Bros’ con otto amici, in una giornata in cui “faceva un caldo soffocante” e il tavolo in cui sono stati serviti sembrava quello di un “bunker sotterraneo di quelli in cui ti aspetti di venire interrogato per la scomparsa del figlio dell’ambasciatore”. Qui lei e i suoi amici hanno consumato un pasto di 27 portate durato quattro ore e mezza, che l’ha fatta sentire come “un personaggio di un romanzo dickensiano”, perché – dice “non c’era niente che si avvicinasse a un vero pasto”. “Alcune corse erano pezzetti di carta commestibile. Altre erano bicchieri di aceto. Tutto sapeva di pesce, anche i piatti non di pesce. E quasi tutto, compresi questi noodles, che era di gran lunga il piatto più sostanzioso che avbbiamo mangiato, è stato servito freddo”. Qui segue nella recensione originale la foto dei noodles, con la didascalia che li accosta a una fetta di pane per dare il senso delle proporzioni, visto che erano giusto sei. E qui, francamente, ci chiediamo se la questione delle mini porzioni, quando si affronta una degustazione di quasi 30 portate, non sia un argomento che ha stancato tutti quanti. Ma proseguiamo.
“Ho provato a formulare ipotesi su quanto accaduto”, prosegue la blogger nella sua recensione. “Forse il personale ha finito il cibo quella notte. Forse hanno confuso il nostro tavolo con quello del loro ex amante. Forse erano ubriachi”. Nessuno – dice la recensione – ha spiegato chiaramente loro cosa stavano mangiando, e quando lo ha fatto l’effetto è stato straniante. “”Questi sono fatti con ricotta rancida”, ha detto il cameriere presentando una piccola pallina di formaggio fritto”. ““Sono… scusa, hai detto rancido? Intendi… fermentato? Invecchiato?”. “No. Rancido.””.
Ma le critiche non sono finite: corse saltate perché non erano compatibili con le allergie dei commensali e in generale un senso di fame dovuto a porzioni dosate a cucchiaini: “una sorta di agonia persistente e prolungata, come staccare lentamente un cerotto”. “Con così tante portate, puoi presumere che le cose cambieranno. Ogni piatto è una possibilità di riscatto. Forse questo pasto sarà come la carriera di Nicolas Cage: devi aspettare molto, ma alla fine arrivano anche cose buone. E invece no. Abbiamo continuato ad aspettare che qualcuno ci portasse qualcosa, qualsiasi cosa! – che assomigliava a una cena. Fino al momento esatto in cui ci siamo resi conto: non sarebbe mai arrivato”.
In fondo, se a un passo dal dessert – come racconta la blogger – la sua tavolata era pronta a scegliere il vino per la “portata principale”, qualcosa non ha funzionato davvero. Resta solo da capire cosa, e da quale parte.
La risposta dei Bros’
Floriano Pellegrino non ha il dono della diplomazia, e neppure quello della sintesi. La sua risposta alla recensione di “Everywhereist” – doversa dopo tutto quel clamore – è lunga tre pagine. Che iniziano con il disegno di un uomo a cavallo. “Saper disegnare un uomo a cavallo non fa di te un artista”, attacca Floriano. “Il risultato del tuo talento può essere anche bello a vedersi, ma non è arte. disegnare un uomo a cavallo è la stessa cosa che fare da mangiare. Molte persone sono capaci di fare bene da mangiare. Le vostre nonne sapevano farlo. mia moglie lo fa egregiamente. McDonald’s sa perfettamente come fare un hamburger che piaccia più o meno a tutti, e la pizzeria dietro l’angolo fa il suo lavoro perfettamente”.
“Il problema di questo artista è che molti hanno fatto dipinti simili al suo”, prosegue Floriano nella seconda pagina, che inizia con un ritratto di Napoleone a cavallo di Jacques Louis David. “Ne ammiro la qualità. È ben eseguito. Ma dipinti spettacolari come questo mi hanno annoiato. Il Louvre e il Prado e l’Hermitage ne sono pieni. Sono impressionanti ma poco profondi. Gli artisti contemporanei cercano nuovi orizzonti ogni volta, invece. Esplorano l’ignoto. Dubitano di tutto inclusi loro stessi, provano a scavalcare i confini”.
“L’arte deve essere bella?”, va avanti Floriano in terza pagina. “Non necessariamente”. “L’arte contemporanea non deve darti risposte, ma porti grandi domande. La cucina contemporanea dovrebbe fare lo stesso. Uno chef non dovrebbe offrirti risposte facili, ma sfidarti con domande interessanti. L’arte contemporanea non è semplice”. “Qui ai Bros’ ci sforziamo ogni giorno per fare avanguardia”. “Sappiamo molto bene chi siamo e cosa stiamo facendo”.
E in conclusione: “Ringraziamo la signora XXX – non ricordo il suo nome – per averci averci fatto arrivare dove non eravamo ancora arrivati. Il nostro “Limoniamo” è out of stock”.
E in effetti, confesso che m’è venuta una certa voglia di acquistarne un set.