Esiste probabilmente in ogni città (che vanti un passato ed una storia gastronomica consistenti) un Bistrot de Venise, un ristorante al quale le guide (per chi ancora le legga) applichino in modo variamente combinato gli aggettivi “classico”, “rassicurante” o le espressioni “capace di ricalcare i fasti del passato”. Le possibilità di ritrovarsi seduti in un luogo decadente, vetusto, appassito e con in carta filetti in crosta o al pepe verde che contemplano placidi e immutabili lo scorrere del tempo. La probabilità che lo stesso ristorante sia collocato in una zona centrale, vicino a qualche monumento di valore è ancora più alta e si fa presto certezza a Venezia, dove – al netto di locali che si definiscono collocati “a pochi passi da Piazza San Marco” anche se sono alla Giudecca – il nucleo attorno al cuore della città, tra Rialto e la Basilica, conta effettivamente esemplari simili.
Per alcuni i fasti del passato sono un ricordo, altri invece hanno saputo trasformare la classicità, dandole un nuovo significato ed evitando polvere, torpore e immobilità.
A pochi, reali, passi da Piazza San Marco, dunque – i minuti a piedi sono 3 – e altrettanti dalla “splendida cornice” offerta da Bacino Orseolo, suggestivo approdo per le gondole, il Bistrot de Venise obbedisce a tutti i canoni che un certo tipo di turista (il livello è quello medio-alto) si aspetta di trovare: la sorpresa arriva dalla cucina, che a partire da una ricerca storica compiuta in modo filologico si serve del passato come trampolino per arrivare – centrata e coerente – al contesto contemporaneo, tenendo sempre a mente la clientela di riferimento. Il risultato è un indirizzo turistico nell’accezione migliore del termine, confortevole e dalla cucina che traduce il classico rendendolo dinamico e attraente.
La storia e l’ambiente
Aperto nel 1993 e frutto del sodalizio di Sergio e Paolo Fragiacomo e Carlo Modonese, il Bistrot ha chiara sin da subito la propria identità non solo gastronomica ma anche culturale: la cucina procede di pari passo con presentazione di libri, eventi dedicati ad arte e poesia, momenti di confronto sulla città e la sua storia, con uno sguardo lucido e privo di autoindulgenza e che cerca, in una città che si sta progressivamente spopolando, di parlare e coinvolgere in modo attivo i cittadini. Lo sforzo è quello, tanto più significativo poiché realizzato in una zona assai battuta dal turismo, di offrire un contesto in cui assieme ai piatti si possa fruire di qualcos’altro, approfondendo la storia gastronomica medievale e rinascimentale. La scelta degli arredi è in linea con la volontà fin qui descritta. Una piccola saletta con tavolini e divanetti rossi anticipa il vero cuore del ristorante: tre sale raccolte, ricercate, dagli arredi volutamente barocco-rococò, con stampe antiche, specchi dorati e stoffe in velluto rosso veneziano. Camerieri in divisa ed un servizio formale ma privo di affettazione accompagnano i clienti nella scelta dei piatti e dei vini. Un dettaglio da non sottovalutare, la presenza tra gli avventori, di gondolieri che scelgono il locale per la pausa pranzo.
La cucina
Se spesso ai proclami circa lo studio e la riscoperta della cucina storica non seguono espressioni pratiche convincenti, il Bistrot sorprende per il contrario. Non solo in termini di ricerca ma anche per rielaborazione. Il passato non è un manifesto da appendere come specchietto per le allodole quanto piuttosto una lavagna su cui scrivere idee e appuntarsi suggestioni. Lo sguardo al passato non si limita a qualche decennio addietro ma arriva fino al XIV secolo e successivi, osservando quando fatto e documentato da personaggi come l’Anonimo Veneziano, Bartolomeo Sacchi detto il Platina e Bartolomeo Scappi il cui lavoro non rimane lettera morta ma viene di fatto intelligentemente riadattato al contesto odierno, guardando allo stesso tempo agli spunti contemporanei. Venezia rimane al centro della scena, tra il gusto agrodolce, i riferimenti all’uso delle spezie e i piatti della tradizione popolare, ma si evitano banalità e ripetizioni annoiate. Dalla cucina arriva la percezione che chi lavori abbia ben compreso il senso di una cucina tradizionale rivisitata e che sappia anche, vista la clientela del Bistrot, modellare i gusti rimanendo nei confini confortevoli ed evitando inutili azzardi.
Ecco allora una carta che oltre a proposte quasi obbligatorie per il contesto (crudo, ostriche, tartufo), offre un panorama sulla cucina veneziana classica e sui maestri antichi (saor, spaghetti al nero e fegato alla veneziana, ma anche “raffioli” – ravioli – di erbe, il “bisato sull’ara” o anatra in salsa “pevarada”) alleggeriti e resi più agili, e accostando ad essi ingredienti, come le erbe di laguna o l’uso del midollo, decisamente più “contemporanei”. 7-8 le proposte per sezione, per una carta che accosta carne e pesce, inserendo anche materie prime dall’apprezzamento non sempre trasversale (storione e coniglio, per esempio). Gli antipasti viaggiano tra i 24 e i 32 euro, i primi tra i 26 e i 32 euro, i secondi tra i 26 e i 42 euro. Tra i dolci (15 euro), gli studiosi di storia della gastronomia potrebbero avere un sussulto di fronte alla Torta bianca reale, rivisitazione di una ricetta di Bartolomeo Scappi e grande classico del passato. Ampia la carta vini che conta su oltre 200 etichette, tra riferimenti nazionali e internazionali. Vale la pena sottolineare la presenza in carta di soluzioni vegane, non di risulta, ma studiate apposta.
I piatti
Si opta per una scelta tutta di carne, che si apre con una lasagnetta al ragù di cortile. Uno scrigno di sfoglia all’uovo magistralmente eseguito, che sotto una gratinatura dorata nasconde un ragù a coltello, con le carni (si riconoscono, gli altri, anatra e fagiano) la cui cottura esalta consistenza e sapore. Una besciamella dal lieve sentore di ginepro, morbidissima, e soprattutto la spuma di caciotta, vellutata al palato, trasformano il piatto in una sorta di luogo della memoria, che riporta a inverni rigidi e mura domestiche. Una doppia porzione sarebbe assai gradita. Ugualmente ben eseguita la preparazione dell’anatra in salsa pevarada: piatto della tradizione che prevede l’uso, per la salsa di accompagnamento, di fegatini, pepe, acciughe e insaccato di maiale, qui è proposto in veste raffinatissima accostato ad una tartelletta di mele, cipolla (in versione chutney) e senape. Ottima cottura dell’anatra e salse dal sapore a misura, non a coprire ma ad accendere il tono delle carni. In chiusura un lingotto al cioccolato al cui interno il cremoso al passion fruit arriva a dare la giusta sferzata acidula, che fa il paio con il sorbetto in cui lo stesso frutto della passione è declinato in chiave più gentile, accompagnato da un soffice sponge al cocco e, per il consueto tono croccante, da una cialda al cacao: si chiude in modo compiuto, del tutto privo di stucchevolezza.
Opinione
A pochi passi da Piazza San Marco, il Bistrot de Venise è un indirizzo che sin dalla sua apertura, ad inizio anni ’90, ha voluto affermare una propria identità ben chiara, oltre l’aspetto meramente gastronomico, guardando alla cultura e alla storia cittadina. L’ambiente è volutamente celebrativo dei tratti tipici di Venezia e la cucina, partendo dalla tradizione (spingendosi fino al Medioevo e Rinascimento), le rimane fedele, mantenendone i tratti fondanti e rileggendone in chiave moderna la struttura.
PRO
- Servizio attento e con puntuali spiegazioni dei piatti
CONTRO
- Tempi di attesa leggermente lunghi
- Presenza di musica (tipica veneziana) di sottofondo