So che è un tema che ricorre spesso sulle pagine di Dissapore, ma fin che il male non sarà debellato è giusto continuare a parlarne: vogliamo smetterla con piatti bellissimi e poco buoni?
Non tornerei sulla questione se pochi giorni fa in uno di questi locali nuovi molto trendy, con ai fornelli giovani che hanno frequentato le migliori cucine planetarie (per pochi giorni, però, come se bastasse toccare il santo per venir miracolati) non avessi mangiato un bel piatto di ravioli completamente freddi.
Quando vai nell’alta ristorazione (o supposta tale) ti viene sempre il dubbio –come nell’arte contemporanea– che ti sia sfuggito qualcosa.
Quindi ho chiesto: ma dovevano essere freddi?
No, mi hanno risposto, vanno serviti ben caldi.
E allora perché cacchio invece che metterli come tutti i cristiani in una fondina, stretti stretti che mantengano il calore, li avete disseminati su un piatto piano di 40 centimetri di diametro, gelido, ognuno per conto proprio?
Non bisogna essere Isacco Newton per capire che un raviolo abbandonato a se stesso in uno spazio vasto e ghiacciato come la Piazza Rossa torna a temperatura ambiente nel tempo di dire “il conto!”.
Poi, il giorno dopo, sono andato in un altro posto elegantissimo e non c’era pietanza che non fosse coperta di fiori. Sono buoni? Chiedo, ingenuamente. Non sanno di niente, mi rispondono, ma danno una bella nota di colore!
Ora, io lo so che Marchesi dice “il bello è il buono” ma prima di tutto conta il buono, e se è anche bello meglio. Ma prima il buono, perdinci.
Se no vengono fuori piatti che somigliano a certe Miss Italia (o Mister, non è una questione di genere): fisici perfetti, occhi profondi, capelli di seta ma se gli chiedi il loro sogno ti rispondono “io speravo che i cattivi facevano la pace nella pianeta”.