Inutile fingere: i bambini al ristorante sono la piaga sociale del nuovo millennio. Lo dico da mamma, ben consapevole che quando prenoto un tavolo con due seggioloni dall’altro capo del telefono c’è un cameriere che viene preso dal panico e che fa gli scongiuri. Ti prego, fa’ che non strillino come aquile, che non mi usino come bersaglio per i loro proiettili di mollica di pane, che non mi chiedano centodiecimila volte una cannuccia per la Coca Cola.
Ebbene, caro cameriere, condividiamo le stesse paure, e sono pronta ad assicurarti che è probabile che si trasformeranno – almeno in parte – in realtà. I bambini sono bambini: sono progettati per piangere, per giocare, per rompere le scatole al prossimo. E per annoiarsi se sono costretti a stare seduti per ore al tavolo di un ristorante in mezzo agli adulti.
D’altra parte, i genitori non possono aspettare che vadano all’università per concedersi una pizza con gli amici, né pagare la suddetta pizza come una cena stellata, aggiungendo al conto il salario per la baby sitter.
La guerra intrgenerazionale: scapoli VS ammogliati
Ecco: è tutta qua la guerra che nel mondo della ristorazione sta vedendo fronteggiarsi in due diversi schieramenti la nuova generazione di trenta-quarantenni. Da un lato ci sono le mamme (più o meno) “pancine”, che vorrebbero poter prenotare un tavolo al ristorante senza che il portasi dietro i propri figli venga considerato un optional o un vezzo da genitori esibizionisti. Dall’altro canto il resto del mondo, che vorrebbe consumare la propria cena in santa pace.
Al netto dei casi limite tanto ben documentati sul web dal Signor Distruggere (le pancine che si portano al tavolo i vasini per far fare i bisogni ai propri figli, ad esempio), la questione è seria, ed è di estrema attualità.
Ci sono ristoratori che – scatenando un putiferio – dichiarano grossomodo che gli ospiti minorenni non sono i benvenuti, e ci sono genitori che si sentono mortificati al primo sommesso pianto in pubblico del loro neonato. Nel mezzo – sappiatelo – c’è una categoria che gongola, ed è quella dei gestori di ristoranti per famiglie, luoghi spesso infernali con menu tutt’altro che gourmet che però consentono ai genitori l’impagabile serenità di non essere additati come cattivi educatori.
Il mercato della ristorazione per famiglie
D’altronde, è così miope non rendersene conto: le famiglie, oggi, costituiscono un’interessante fetta di mercato, anche nella ristorazione. Le nuove generazioni di genitori sono giovani (magari non anagraficamente, ma nello spirito), generalmente alto-medio spendenti (o completamente matti, se hanno deciso di permettersi una prole e di volerla pure portare fuori a cena), e hanno molta più propensione alle uscite e al divertimento rispetto alla generazione che li ha cresciuti.
Una recentissima indagine condotta da Doxa per The Fork racconta esattamente questo: le famiglie sono un target di fondamentale importanza per il settore della ristorazione, con il 47% degli intervistati con figli con meno di 12 anni che indica di andare al ristorante almeno una volta alla settimana – un dato solo di poco inferiore a quello di chi non ha figli in casa (49%).
Ecco, cari ristoratori, è a questa fetta di guadagno che state deliberatamente rinunciando, quando non mettete in condizione i genitori di portare con sé agevolmente i bambini. Ed è evidente che non lo facciate, visto che più del 40% degli italiani con figli ammette, secondo l’indagine di cui sopra, di essere stato costretto almeno una volta a lasciare il ristorante prima di quando avrebbe voluto, a causa dell’ambiente poco adatto alle famiglie.
Conciliare ristorazione e bambini non è semplice, ce ne rendiamo conto, ma è questione di mercato, di buon senso, e di inclusione sociale.
Genitori incapaci di educare o ristoratori che non sanno monetizzare?
In questa guerra – è bene premetterlo – se ci sono due schieramenti (tertium non datur), io mi posiziono forzatamente dalla parte delle mamme, se non altro perché ho due figli piccoli, e non ho mai smesso di andare al ristorante, in media un paio di volte a settimana. Ho la fortuna di avere nonni disponibili, ma a volte ho semplicemente piacere di portare anche i bambini a cena fuori.
Sia chiaro: l’educazione è un requisito fondamentale, per gli adulti tanto quanto per i bambini. Nessuno qui vuole difendere i genitori che lasciano i propri figli liberi di fare qualsiasi cosa e di disturbare gli altri clienti, ma chi scrive ha la precisa convinzione che questi genitori rappresentino un’esigua minoranza.
I miei bambini sono generalmente abbastanza educati e abituati a stare al ristorante (lo dicono tutte le mamme, vero?) ma nella mia esperienza di scrittrice gastronomica e procreatrice ho visto e vissuto più o meno di tutto, pur cercando di rispettare sempre il prossimo e l’ambiente in cui mi trovavo.
Ho pagato piatti di pasta in bianco allo stesso prezzo di uno spaghetto alle vongole veraci (ogni tanto i gagni fanno comodo, cari ristoratori). Ho sperimentato in un affollato cocktail bar commenti infastiditi di fanciulle che un’ora più tardi sarebbero state probabilmente sbronze, ma che in quel momento si chiedevano per quale ragione avessi dovuto portare lì dei rumorosissimi bambini.
Ho schermato le occhiatacce dei clienti che mi guardavano con aria di rimprovero non appena tiravo fuori l’Ipad per intrattenere un po’ i bambini facendoli stare zitti. “Guardali lì, poveretti, piazzati davanti a uno schermo senza nessuno che li consideri”. D’altronde, se avessi voluto considerarli di più, sarei rimasta a casa a giocare con loro, invece di uscire a cena.
Ho vissuto il disagio di non saper dove cambiare il pannolino ai miei figli; credetemi, io e mio marito ci siamo cimentati in acrobazie che farebbero impallidire Vātsyāyana, per cambiarli in bagni angusti senza che toccassero nulla dell’ambiente circostante, spesso non esattamente pulito. Insomma: so di cosa sto parlando e so anche che esiste una semplice soluzione, che mi darebbe motivo di tornare a mangiare in un posto e di pagare di più, se è il caso.
Lo strano caso del Trentino Alto Adige: dove i bambini sono tutti educati
Prima ancora di essere bambini, i bambini sono esseri umani, ed è semplicemente discriminante pensare che ci siano spazi pubblici a loro interdetti per il solo fatto di essere bambini (naturalmente fatta eccezione per i cinema porno, se ancora esistono). Se non siete d’accordo con questo assunto, francamente non capisco perché siate arrivati a leggere fin qui: passiamo oltre, magari ci troveremo d’accordo sul ristorante più buono della città (sempre che non mi obblighiate a frequentare solo locali per famiglie).
Eppure, i bambini sono bambini, come dicevamo, ed è difficile (anche nei casi meglio educati) tenerli seduti tranquilli per ore a un tavolo del ristorante.
Dunque non c’è fine a questa guerra?
Certo che c’è, e non serve andare in paesi incredibilmente più baby friendly come il Giappone e il Nord Europa per capire quale sia. Basta guardare al Nord-Est d’Italia, ad esempio. Al Trentino Alto Adige, dove gli spazi gioco per i bambini sono quasi una componente fissa di ogni ristorante e i family hotel (alberghi dove tutto è a misura di famiglia, spiego per i non genitori) sono una risorsa economica turistica importantissima.
O al litorale di Bibione, dove i fasciatoi pubblici sono a disposizione delle mamme e dei papà perfino sulle spiagge, figurarsi nei ristoranti.
Cari ristoratori, ecco trovata la soluzione alle vostre crisi di panico causate dalle famiglie con bambini. Date loro dei servizi, metteteli in condizione di cenare sereni. Fate un sorriso comprensivo ai genitori che tentano di zittire un neonato che piange, e magari aiutateli a scaldare il biberon con il latte. Insomma: costruite nel vostro locale un ambiente più accogliente: bastano un bagno pulito (non osiamo dire un fasciatoio) e un tappeto con quattro giocattoli, nascosti in un angolino del locale.
Fa brutto? Magari nel fine-dining sì, l’album da colorare vicino al tavolo di servizio non è una bella immagine (i bimbi potrebbero divertirsi con tutte quelle ceramiche per gli amuse bouche..): allora create uno spazio apposito, nei vostri ristoranti lussuosi, e noi genitori spenderemo più volentieri 100-200 euro a testa, fidatevi. Sto sognando?
Insomma, provate solo per un attimo a considerare le famiglie una risorsa, più che un problema, e ne guadagnerete voi per primi. Ve lo assicuriamo, anche la vostra vita sarà più semplice. E se ciò non accade, siete in presenza di una famiglia maleducata, che poi è l’equivalente di un cliente maleducato, o di una mamma pancina, e in quel caso non c’è nulla che possiamo fare per aiutarvi.