L’Autogrill, oggi, visto da un redattore di Dissapore, foodie in vacanza da se stesso. Come cambiano i panini e i prodotti a scaffale del più famoso ristorante d’autostrada italiano.
Settembre è tempo di propositi, ma per me questo settembre ha più il sapore del “vediamo come va”, mi sento allineata alla situazione istituzionale: anche io ho un impiego a termine (la maternità dell’INPS), e le mie giornate sono da inventare ogni giorno alla mercé di un capo stimolante e tirannico.
Così invece del classico buon proposito, mi sono messa sull’argomento passatista del rimpianto delle ferie. Per me quest’anno son state vacanze tranquille, e spostamenti autostradali con relativa sosta in autogrill.
Ho sempre ammirato quelli che conoscono a menadito le soste sulle autostrade e scelgono dove fermarsi in base alla consapevolezza della pulizia del bagno o della proposta del menu. Io no. A dire il vero con una neonata non è facile programmare le soste e per la legge di Murphy finisci sempre in quelli piccoli, con il bagno tra il bar e lo shop del benzinaio, dove l’odore di urina non è mai mitigato da quello dei croissant.
Diciamo però che se dovessi proprio programmare la sosta a bordo strada, per disposizione d’animo dedicherei il planning alle cibarie più che alle minzioni.
Perché l’autogrill è una di quelle categorie dell’anima nascosta del foodie vacanziero che degenera. E per degenera intendo quella sensazione di formicolio alle ghiandole salivari che avete quando, in cassa, vi trovate di fronte al metro di barrette Kinder e la conseguente lotta che intraprendete con le vostre convinzioni sul cioccolato fondente monorigine.
Inutile dirlo, io che ho preso la patente nei primi anni 2000, sono una tipa da Rustichella, l’intramontabile ibrido tra una piadina, un cascione e una pie: non sai bene cosa c’è dentro ma mangi perché l’insieme risulta affatto sgradevole anche alle papille di un sedicente gastronomo benpensante.
Questa volta però ho mandato dentro mio marito alla ricerca di un panino qualsiasi alle 14:30 di un pomeriggio da bollino rosso. Se ne è uscito con il Verace: focaccia, prosciutto cotto, simil-mozzarella, pomodoro, lattuga e maionese. Il tutto ovviamente caldo e, come solo negli autogrill sanno fare, con il formaggio sbrodolato sul tovagliolino che è diventato tutt’uno con il ripieno. Beh, funzionava.
Ho dunque sentito il bisogno di colmare le mie lacune.
I panini “gourmet”
Dal 2018 Autogrill ha inserito una serie di nuovi panini: ci sono “Benvenuti a…”che dovrebbero rappresentare le peculiarità gastronomiche delle varie Regioni d’Italia e i panini “dalla cucina” [sic!] che sono dedicati al gastrofighettismo imperante.
Il mio Verace appartiene a questo secondo gruppo, e il fatto che lo abbia apprezzato mi etichetta bruscamente nella categoria di cui sopra. Tra i filologici regionali il ‘Benvenuti a Milano’ con il salame Milano, il ‘Benvenuti a Norcia’ con pane e porchetta di Norcia, e il ‘Benvenuti in Valtellina’ con schiacciata con farina di grani antichi [sic!], bresaola della Valtellina, formaggio Casera e rucola [la famosa rucola della Valtellina].
Evidentemente però la tipicità regionale non segue le coordinate geografiche, visto che tutti questi panini si trovavano nell’Autogrill di Tarvisio dove ho comprato il mio Verace.
L’operazione foodista di Autogrill, che annovera nel suo chef system anche Renato Bosco e Luca Montersino, si spinge anche sul superfood: poteva mancare un bagel con salmone e avocado? O un club sandwich vegano con pane alla curcuma?
Peccato che il caffè sia rimasto un amalgama di acidità, ineliminabile anche con un decilitro di latte e diverse bustine di zucchero e che i croissant siano di quelli che ti si ripropongono fino a cena. Eppure, per tornare alla degenerazione foodista, basta avviarsi con una “partenza intelligente” e quel caffè diventa subito desiderabile, magari, in un eccesso di prudenza, assieme alle quattro lattine di Red Bull che provvidenzialmente mettono – sempre – di fianco alla cassa vicino all’uscita.
I souvenir della vergogna
(salumi e formaggi per fingere di esser pensato ai vostri parenti in vacanza)
Una volta completato il nuovo menu degustazione, vengo, come tutti, spinta nel vortice del giro coatto dei souvenir della vergogna [cit. Cavalleris]. Ero preparata alle sniffate di formaggi e di salumi: in particolare ho una predilezione per la noce di prosciutto al pepe, un salume che, dalle mie ricerche, si trova solo negli autogrill, esposto, in stile Eataly, nei cestoni di vimini che dovrebbero conferirgli una dignità superiore rispetto agli altri salumi, più prosaicamente esposti a scaffale.
Riporto inoltre con piacere che la tipologia di vendita “al metro” è stata estesa dalle barrette Kinder anche ai Grisbì e ai Baiocchi, e che la parete di Haribo è sempre lì, una delle poche certezze rimaste agli appetiti più sordidi ridestati dalla noia del viaggio autostradale.
Sul sito di Autogrill celebrano la loro anima “glocal”, mi chiedevo a che cosa si riferissero e intendono proprio quelle “selezione” che rimpinza le corsie di paste ai sapori più vari: la rucola non meno che il caffè, roba da intenditori soprattutto se corredata alle 4 lattine sconto 50% di olio “spremuto a freddo” ma chissadove, che qualche volta ho avuto l’istinto di comprare assieme alla cassa di Amarone sconto 30% (due casse sconto 70%).
Ero però meno preparata a quello che ho trovato guardando bene tra le paste: dei fantastici maccheroni con le forme della torre di Pisa e del Colosseo, o una bottiglia a forma di Italia ripiena di spezie (ovviamente il peperoncino sta al Sud), e perfino un campanile di San Marco colmo di limoncello, in cui forse dovremmo scovare un incitamento all’Unità d’Italia.
Da dove viene tutta questo fervore in un gruppo che solo pochi anni fa pareva destinato? Sul sito aziendale si legge che “ll Gruppo Autogrill è il primo operatore al mondo nei servizi di ristorazione per chi viaggia. È presente in 31 paesi di 4 continenti, opera in circa 1.000 location, gestisce 4.000 punti vendita ed è presente in 147 aeroporti.[…] Nel 2018 Autogrill ha conseguito ricavi pari a circa 4,7 miliardi di euro.” A legger bene gli ultimi investimenti sono stati fatti egli aeroporti statunitensi e sulle autostrade del Canada, il che dice molto anche sulla selezione dei nuovi prodotti per il mercato italiano.
Per fortuna nemmeno il marketing internazionale ha ancora intaccato “quell’aria al neon e pesa” che cantava Guccini, e, mi permetto di aggiungere, quella sensazione di sfiga come atto liberatorio che l’autogrill (scritto minuscolo) regala alle ferie.
[Foto: Rossella Neri per Dissapore; profilo Instagram di Autogrill]