Non stiamo battendo la fiacca. E se credete che con l’avvicinarsi del Natale noialtri qui si parli solo di panettoni, pandori e ricette per recuperare gli avanzi del bollito, beh, vi sbagliate di grosso. Stakanovisti della recensione, “>Il ristorante della settimana” torna con un nuovo episodio.
Stavolta vi portiamo a Barbarano Vicentino, minuscolo paesino dei Colli Berici dove si trova Aqua Crua, ristorante-hotel di Giuliano Baldessari, stella Michelin appena riconfermata.
Design e ambiente
L’ingresso, con un enorme cavolo-frattale dipinto sullo sfondo della parete principale (omaggio a uno dei menu di Baldessari) ricorda che Acqua Crua è anche un hotel.
È quindi la sala, che si allunga sulla destra, a rubare lo sguardo. A una delle estremità trovate la parete destinata al giardino verticale idroponico, all’altra si apre la cucina a vista, coperta solo in parte da un rosso cucchiaio gigante.
I tavoli si trovano al centro, disposti lungo le pareti: illuminati da un sistema ad hoc, azionato con il tablet quando i clienti si accomodano, garantiscono circa 35 posti. Niente tovaglie, niente sottopiatti. I toni caldi dei materiali e delle luci, che creano nicchie riparate e singolari, scongiurano la raggelante atmosfera che affligge buona parte dei ristoranti della stessa categoria.
Servizio
Tra sala e cucina, la squadra si compone di circa 12 persone. Sala condotta con misura ma senza seriosità: i piatti vengono presentati con precisione e buona disposizione per il cliente che chiede lumi su ingredienti e cotture.
Al maître Mattia Ruffilli si devono accostamenti che valorizzano i piatti, con note concordanti o volutamente dissonanti.
La cucina e tutti i piatti provati
Concluso un lungo percorso di formazione passato per Aimo e Nadia, Marc Veyrat, e soprattutto Massimiliano Alajmo de Le Calandre, lo chef trentino di nascita ma veneto d’adozione ha trovato il suo spazio. Dove si esprime in libertà, anche con coraggio, attratto dall’improbabile, che a volte sconfina nel bizzarro.
Aperto nel 2013, Aqua Crua (“crua” significa trasparente, cruda, naturale) conquista la Stella Michelin nel 2015. Ai tavoli del ristorante non ci si annoia: gli ingredienti sono insoliti e le portate si muovono tra illusione e stupore.
Non è il caso di spaventarsi se spesso forma e sostanza non coincidono.
Anche i nomi dei piatti –quantomeno enigmatici– fanno parte del gioco.
Si comincia con qualche piccolo boccone di benvenuto: spaghetto fritto con maionese alla canapa, bottone di zucca con chips di mais, noce al grano arso e uno spaghetto freddo d’alga con chut masala, inchiostro di calamaro e lievito di birra.
La bresaola
La prima illusione è servita: nel piatto morbide fette rosso brillante accanto a qualche scaglia di Parmigiano. Quella che appare bresaola è in realtà passata di pomodoro, disidratata e resa sottile fino a trasformarla in fette.
In bocca il sapore del pomodoro è concentrato, carico di dolcezza e sole.
La pecora
Tartare di spalla di pecora, lavorata con colatura di alici a cui viene aggiunta polvere di caolinite, minerale della famiglia dei silicati, qui “grattugiato” sulla tartare.
Forse il piatto più problematico dell’intero menu, cui la pietra non aggiunge nulla, anzi. Sembra di mettersi in bocca polvere di cantiere, sabbia e detriti.
Omaggio a Castagna
Pino Castagna è stato un artista della ceramica. Vicentino, scomparso l’anno scorso, ha realizzato i piatti di Aqua Crua, piccole tele candide firmate con tre piccole macchie di colore.
Baldessari lo ricorda con questo omaggio. Piatto bianco con macchie di colore edibili.
Tre creme: olive taggiasche, crescione di montagna, baccalà mantecato, da mangiare in questo ordine spalmate su una fetta calda di pane di patate. La leggerezza del crescione è la sorpresa di questa rilettura del crostino al baccalà caro a tutti i veneti.
Il miso
Per gli amanti delle fermentazioni in cucina, l’ingrediente principale di questi spaghetti è il koji, un fungo filamentoso (aspergillus orza), praticamente una muffa. Impiegato per fermentare i fagioli di soia e per produrre miso, sakè e salsa di soia, è prezioso per le proprietà digestive e antinfiammatorie.
Il sapore che più si avvicina è quello del lievito, con una tenue nota acida. Una mantecatura esemplare mette al riparo da (eventuali) spigoli dovuti alla fermentazione. A completare, polvere di caffè e foglie di Kaffir lime.
Il riso
Ciotola calda, colore rassicurante, insomma un risotto. Che profuma di succo d’arancia, usato per mantecare, e di zenzero. Con il tocco marino e fresco dell’acqua di cozze.
In apparenza confortevole: l’ingrediente a sorpresa è un fungo “killer”. Un fungo parassita che cresce sulla testa degli insetti e ne determina la morte.
Appurata la non tossicità (anzi, il fungo ha proprietà tonico rinvigorenti che stimolano il sistema immunitario) viene da chiedersi se il piatto –tanto buono che avremmo fatto volentieri il bis– sarebbe stato lo stesso senza fungo. Insomma, “cuochi d’artificio” o ingrediente indispensabile?
Il tamarindo
Al centro del piatto c’è la ricciola cruda, marinata e accompagnata da salsa al tamarindo, paprika, liquirizia e finocchietto. Ricciola e tamarindo: il boccone perfetto è una combinazione dei due sapori: diavolo di un Baldessari!
La starna
Petto e filetto della starna, esemplare della selvaggina di piuma, sono cotti a bassa temperatura e accompagnati con latte e kombucha. La fermentazione ritorna, ma qui con una presenza non ingombrante. Anzi, il tipo di cottura ha normalizzato il sapore della starna, perfino troppo.
Da mangiare in un boccone il “Rocher” che completa il piatto: fegatino di starna ricoperto da nocciole. Più antidepressivo del cioccolato.
La crema carbonizzata
Ancora illusioni, in chiusura. Si legge crema carbonizzata, ma se immaginate una crème brûlée siete fuori strada. Nel piatto l’aggettivo “carbonizzata” è dovuto alla presenza di carbone vegetale alla crema. Dimenticate il giallo solare e rassicurante: qui atmosfera cupa e piatto noir.
Da cosa dipende tanto nero? Dal caffè in polvere sparso sulla superficie, dall’aggiunta del polipodio, la liquirizia di monte, e del carbone vegetale. Il risultato è una squisitezza.
La scelta antiestetica è cercata: Baldessari ha voluto il piatto “brutto” a causa delle aspettative alte che genera quando i clienti ne leggono il nome. “Le aspettative mi annoiano, preferisco andare alla sostanza”. Atteggiamento snob? Forse, ma nell’epoca dei piatti pensati per Instagram, la rivincita del brutto è apprezzabile. E soprattutto, il piatto esce dalla carta.
Prezzi
Si può scegliere alla carta o seguire uno dei due percorsi di degustazione: “Frattali”, un menu di 7 portate (95 euro) che comprende i piatti più rappresentativi della cucina di Baldessari e “Iniziazione”, che racchiude le nuove ricerche dello chef (135 euro).
La carta dei vini rivela competenza e gusto: Francia e Italia sono terre d’elezione, ma la scelta non è mai affidata al nome roboante: ancora una volta si va all’essenza.
Conclusioni
Lo stile di Giuliano Baldessari non è accomodante. L’inatteso, alla vista e al palato, è il codice espressivo dello chef di Aqua Crua.
Non una posa o una provocazione: piaccia o meno, prima ancora del cliente Baldessari ama stupire se stesso. Un impegno che inizia con la scelta degli ingredienti, provenienti in buona parte dall’allevamento e dall’orto di 2500 metri quadri gestito direttamente nel vicino comune di Villaga.
[ Crediti immagini | Piatti e ambiente: Caterina Vianello]