Inutile girarci intorno: è ora di permettere a bar e ristoranti di aprire nei dehors, e tocca farlo prima di subito. Già a settembre, otto mesi fa, parlammo di quanto fosse cruciale per la ristorazione l’argomento dehors. Erano stati il rifugio (per i ristoratori e per i clienti) durante tutta l’estate, valvola di sfogo per far ripartire un’economia messa in seria crisi dalla pandemia.
Ma nessuno sembrava prendere sul serio l’arrivo della stagione invernale e l’inevitabile chiusura di quel barlume di socialità all’aperto, né nessuno lo prese sul serio nei mesi successivi. I dehors non sono mai stati un argomento sul tavolo.
Oggi, con ulteriori mesi di chiusure alle spalle, una stagione quantomai incerta davanti e l’esasperazione di una categoria professionale di cui le (brutte) piazze di ieri a Roma sono comunque una rappresentanza di cui bisognerebbe tenere conto, il tema dehors non può che tornare a essere centrale. E l’appello dovrebbe essere univoco: riapriamoli, e riapriamoli in fretta.
L’esempio americano
Negli Usa, questa è stata l’opzione adottata da sempre, nonostante inverni anche più rigidi dei nostri. Il principio generale – con variazioni da Stato a Stato e a seconda dei periodi, naturalmente – è più o meno sempre stato: dentro vi diamo limiti (ancora oggi in vigore, nonostante il rallentamento dell’epidemia grazie all’imponente campagna vaccinale), fuori fate un po’ quel che vi pare. Non che i ristoratori americani non abbiano comunque patito: i danni sono stati ingenti, le chiusure numerose, ma almeno qualcuno ha potuto contare su quel po’ di coperti all’aperto.
Anche in Svizzera si inizia a prendere in seria considerazione l’ipotesi di limitare i divieti sulla ristorazione agli spazi al chiuso: l’apertura delle “terrazze” era già stata annunciata un mese fa, appoggiata dalla totalità dei cantoni, ma il governo aveva deciso di rimandare, vista la situazione di rischio ancora alta. Oggi però la decisione si ripresenta sul tavolo, con il presidente della Conferenza dei direttori cantonali della sanità (CDS) Lukas Engelberger che afferma che l’apertura dei dehors dei ristoranti sia “praticamente senza rischi”.
I contagi all’aperto
D’altronde, sembra l’unica possibile certezza a cui aggrapparsi per tornare a fare una vita pressoché “normale”: all’aperto ci si contagia molto di meno. Lo si sa più o meno da quando la pandemia è entrata improvvisamente nelle nostre vite e abbiamo scoperto cosa fossero i droplets, le goccioline potenzialmente infette che spargiamo nell’aria parlando o tossendo. Goccioline che, all’aperto, si volatilizzano e si dissolvono più facilmente nella distanza di circa un metro e mezzo, quella raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
A dirlo sono moltissimi studi, l’ultimo dei quali ha avuto particolare risonanza mediatica, dato l’avvicinarsi della bella stagione e la speranza che almeno all’aperto le attività possano riaprire. In Irlanda, l’Health Protection Monitoring Center, che monitora i casi di Coronavirus nel Paese, ha stabilito che solo uno su mille è attribuibile alla trasmissione all’aperto. Dei 232.164 casi di Covid-19 registrati nello Stato fino al 24 marzo di quest’anno, 262 erano dovuti a trasmissione esterna, pari allo 0,1% del totale.
Questo non significa che all’aperto si possa fare qualsiasi cosa, o che gli assembramenti non possano essere pericolosi anche in un parco. Significa però che bisognerebbe essere realisti, e prendere atto del fatto che un ritrovo familiare in casa è più rischioso rispetto allo stesso pranzo fatto nel dehors di un ristorante.
Dunque, apriamoli ‘sti benedetti dehors, ora che la bella stagione inizia pian piano a farsi vedere. Spieghiamo quali sono i rischi, diamo regole precise, ma permettiamo ai ristoratori di sfruttare gli spazi all’aperto, così come era stato fatto l’estate scorsa. E permettiamoglielo immediatamente. Perché nel frattempo loro montano rabbia e fatica, e le persone – che ci piaccia o no – continuano a ritrovarsi in casa, al chiuso, perché la socialità, dopo un anno di limitazioni a singhiozzo, non è mai davvero morta.