Se inaugurare un ristorante di questi tempi vi pare da impavidi, scegliere la via del fine dining – con gli oneri certi e gli onori agognati che comporta – potrebbe risultare ancora più ardito. Per Mogano, però, la sfida ha dell’inedito: portare la cucina creativa d’avanguardia nel contesto della birra artigianale.
Letteralmente e senza timidi approcci. Non la birra acida proposta in abbinamento al piatto grasso, al prezzo dello Champagne, nel ristorante promosso dall’omino Michelin, né il piatto velleitario che costa tutto l’orgoglio del cuoco nel pub con 42 spine artigianali, bensì una posto elegante, di quelli con il percorso degustazione da decriptare, dove la birra artigianale sia protagonista apprezzata.
Mogano nasce non a caso nel grembo di Ritual Lab – proprio sopra il birrificio e accanto la tap room – assai noto per i bevitori del genere e, se tutto va bene in quel di Formello (RM), presto anche agli appassionati di gastronomia in generale.
Il ristorante va a completare quello che di fatto è un progetto familiare. Matteo Faenza, 26 anni, girava il mondo spadellando in cucine stellate, o quantomeno trendsetter, mentre i fratelli Giovanni e Valerio collezionavano premi per le loro birre (parliamo del Birrificio dell’Anno attualmente in carica): ha lavorato al Malabar di Lima e da Retrobottega a Roma, al Quique Dacosta di Denia e al Nerua di Bilbao, al Boragò ma pure al fast food; oltre a un bel po’ di esperienza porta con sè in brigata Diego Verdugo, che viene dal DiverXo di Madrid, Marco Miglioli, prima chef del Carignano di Torino e il giovane Marco Sforza, che sta preparando la linea dei dolci.
Le aspettative sono alte. Dobbiamo aspettarci una cucina “di territorio molto contaminata”, promette Matteo, con piccole aziende locali coinvolte. Un esempio è la porchetta di anguilla: il pesce viene rilegato come una porchetta, frollato in mosto di birra e strutto e affumicato nel legno di melo fino a far sciogliere il collagene, poi servito con una salsa ponzu rivista, fatta con salsa di ceci fermentati e limoni del Lazio.
I fermentati saranno in effetti centrali nell’offerta gastronomica di Mogano – che si avvarrà della collaborazione di Carlo Nesler – nonché nella proposta delle bevande, prevedibilmente poderosa. 700 etichette di vino, un percorso di abbinamento con le birre della casa che si prospetta persuasivo (“lo proporremo a 17 euro circa”, dicono) e le bevande a base di luppolo, qui in Italia una novità, che potremmo descrivervi, su per giù, come versione geek della birra analcolica.
Il carattere di Ritual Lab sarà pervasivo, dall’esposizione permanente alle pareti di Pierluigi Bellacci (l’artista cui sono ispirate le etichette del birrificio) alla imperial stout Papanero ridotta in ganache nei cioccolatini. Per il resto, canoni classici: 28 i coperti, distribuiti tra 5 tavoli e uno chef table, piatti alla carta tra i 25 e i 40 euro e un menu degustazione di 70 euro, ovviamente escludendo le bevande.
La curiosità (almeno la mia) è parecchia, ma da osservatrice della birra artigianale vedo un limite nell’indifferenza che genera, spesso, anche tra i più raffinati appassionati di gastronomia, pronti a scollinare per centinaia di chilometri purché di quella non si tratti. Mi sembra che in questo caso la sfida di Ritual Lab sia duplice: far diventare Mogano una meta per chi ama il fine dining, a prescindere dai propri successi brassicoli, e poi incuriosire l’avventore con un “Facciamo anche la birra, ma non vi spaventate”.