Quando ho sentito raccontare da Philippe Starck in persona il percorso che lo ha portato a collaborare con i fratelli Alajmo per la realizzazione di Amor, il locale che ha avuto poca fortuna in territorio milanese e che ha riaperto da pochissimo dentro l’ H-Farm Campus una struttura pazzesca, pensavo ai cuochi che cavalcano da anni la dottrina della sostenibilità, forse anche perché si tratta di una caratteristica intrinseca al mondo dell’alimentazione.
Ricordiamo che risale a 10 anni fa il Mad Food Camp di Redzepi , in cui era agli albori, alemno negli alti livelli della ristorazione, la collaborazione con gli artigiani locali, la consapevolezza del territorio, ecc ecc tutte cose oggi quasi scontate. Poi c’è l’ancora attuale Cook the mountain di Norbert Niederkofler, cultore del foraging alpino e dell’approvvigionamento iper locale. Ma mi pare che da un po’ di tempo a questa parte si stia andando in una direzione ancora più radicale. Mi ero segnata di pensarci su quando due anni fa, pre-pandemia, avevo visto che il menu biodinamico [sì, quello del cornoletame] di Colagreco che cambiava proposte sulla base degli allineamenti planetari.
E così naturale che una certa ricerca intorno al cibo salutare ad un certo punto si sovrapponga alla ricerca metafisica? Se si guardano alcuni tra i divulgatori più in auge sulla faccenda, Pollan e Berrino tra tutti, si direbbe di sì. Non c’è chef che parli di consapevolezza alimentare, cibo salutare e sociale, localismo, cioè di tutto quello che comodamente etichettiamo sotto la categoria “sostenibilità”, che alla fine non assuma anche quell’atteggiamento da guru e cominci a parlare anche di amore universale. Una sorta di reinterpretazione hipsterizzata delle comuni biologiche californiane degli anni sessanta.
Philippe Starck ha sostanzialmente detto che da quando ha casa a Burano e ha conosciuto i fratelli Alajmo ha trovato eccellente il loro cibo, anzi ha detto “sincero”, ma ha aggiunto che è caro e per questo non alla portata di tutti. Lui, inventore del design democratico [sì, ci ha pensato prima di Ikea] non poteva non sposare l’idea di Amor e non diventare il loro designer di interni.
L’idea di Amor infatti sarebbe quella di portare il cibo buono alla portata di tutti, AMORe universale, eccoci qui. Purtroppo non si tratta del riso ai capperi e polvere di caffè, come ha riconosciuto lo stesso Massimiliano, ma di junk food non più junk: hot dog, hamburger, panzerotti, pizza, gelato fatti con materie prime eccellenti.
Amor a Milano, aperto qualche anno fa in Corso Como e severamente recensito su queste pagine, proponeva soprattutto la pizza al vapore, la pandemia però ha messo la parola fine ad un’esperienza che non aveva mai veramente decollato, complice forse una zona non felice e un pubblico milanese bombardato da tutte le pizze d’Italia da molti anni.
La rinascita di Amor avviene in un contesto più congeniale alla sua filosofia, un campus universitario enorme (almeno per gli standard italiani), bizzarramente collocato nella periferia trevigiana, fighissimo e fighettissimo. Dal sito si legge che è il più grande e importante polo di innovazione in Europa con 3000 persone, 101 milioni di investimento, 8.7 milioni di euro di ricaduta economica.
In 51 ettari completamente autosufficienti energeticamente ci sono le triennali, i master, i corsi di aggiornamento, una biblioteca, tre ristoranti (tutti guidati dal gruppo Alajmo), un palazzetto dello sport e 5000 mq dedicati a quasi tutte le discipline sportive, compreso lo skating. Al progetto si affiancano la scuola internazionale, dall’ultimo anno della materna alla terza media, e un progetto nato quest’anno di supporto all’educazione parentale tramite una scuola completamente digitale che sfrutta tra le altre la Virtual reality ed è destinata a tutti quelli che, per vari motivi, non possono frequentare una scuola di mattoni.
Un posto che nella campagna veneta fa una certa impressione perché ha un’apparenza decisamente decontestualizzata, ma che idealmente vuole dialogare con le università più avanzate del mondo.
I giovani virgulti del campus possono pranzare con il cibo biologico firmato Alajmo, un modo per venire incontro ai gusti dei ragazzi, dice Raf Alajmo, ma offrendogli prodotti biologici, hot dog preparati dai migliori macellai con il miglior bestiame, gelato prelibato, ecc ecc al costo di circa una decina di euro per un pasto completo.
E in questa idea di democratizzazione Starck pone le sue baute veneziane dorate come unica firma, per il resto l’ambiente è personalizzabile dal pubblico, che può scrivere su quasi tutte le superfici del ristorante, decorare i tappeti e il vialetto d’entrata. Le uniche decorazioni all’interno, a parte qualche libro e le lampade di un artigiano locale, sono le file di vasetti di aromatiche coltivati in idroponica che schermano le vetrate prive di tende.
Per il momento registriamo che l’idea di cucina stellata che esca dal tempio e vada nel mondo è arrivata fin qui, non certo una periferia disagiata e nemmeno un’università statale, ma è anche vero che devo ancora trovare un’idea di benessere che provenga dall’alto e che sia davvero rivolta a tutti: non lo sono i menu di Redzepi , Niederkofler e Colagreco, e non lo sono nemmeno gli sgabellini a forma di nani di Biancaneve del designer democratico.
Però se posso spargere la mia piccola pillola di amore universale, questo campus è un posto molto bello da vedere, aperto a tutti, come i suoi ristoranti, e collegato al mare da una pista ciclabile. Non cambierà il mondo, ma può davvero migliorare un sabato pomeriggio.